ROMA. – In arrivo nelle regioni 4,4 milioni di tamponi a breve e 10,5 milioni di mascherine per domani, il numero più alto dall’inizio dell’emergenza: l’annuncio del Commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri, arriva in un momento delicatissimo della Fase 2.
A incoraggiare l’ottimismo, anche se con una certa cautela, ci sono anche i dati sull’epidemia di Covid-19 in Italia, che descrivono una situazione con molti aspetti positivi, primi fra tutti il calo di decessi e ricoveri, ma restano criticità e lacune che richiedono attenzione.
Le mascherine, ha detto Arcuri, saranno distribuite in tutte le regioni a sistema sanitario, forze dell’ordine, aziende del trasporto pubblico locale, erogatori di servizi pubblici essenziali, alle Rsa pubbliche e private e alle polizie locali e, nelle regioni che ne hanno fatto richiesta, a particolari categorie di cittadini.
A due settimane dalla prima riapertura dopo il lockdown, quella del 4 maggio, i dati della Protezione civile fotografano l’assenza di nuovi casi in Umbria, Valle d’Aosta, Molise, Basilicata e Provincia autonoma di Bolzano e 665 contagi in più nelle ultime 24 ore.
I malati sono 2.377 in meno rispetto a ieri e i guariti aumentano di 2.881 unità. In aumento anche i decessi, con 161 vittime nelle ultime 24 ore. Non è inoltre mai stata così bassa la percentuale dei positivi rispetto ai tamponi eseguiti: meno di uno ogni 100 tamponi.
Se si escludono i casi di tamponi ripetuti, oltre il 40% del totale, e si valutano solo i nuovi casi testati, la percentuale sale all’1,7%, contro il 9,6% del 26 aprile. Complessivamente dall’inizio dell’emergenza in Italia sono stati realizzati 3.104.524 test molecolari basati sui tamponi.
E’ una fotografia della situazione italiana nei giorni immediatamente intorno alla riapertura, ma ancora sfocata in alcuni punti. Per esempio “uno dei problemi dei dati è ancora il grande ritardo da parte di alcune Regioni a soddisfare la richiesta fatta dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss), che i risultati dei tamponi vengano comunicati entro due giorni”, osserva il fisico Giorgio Parisi, dell’Università Sapienza di Roma.
“Si ha l’impressione che in certe Regioni siano rimaste ancora persone che si erano ammalate in precedenza e alle quali non è stato fatto il tampone. C’è insomma un arretrato non ancora smaltito”, rileva. “L’impressione – aggiunge – è che non ci sia immediatezza nell’analisi dei dati”. C’è, aggiunge, da essere “cautamente ottimisti”.
Complessivamente, comunque, la “situazione generale è abbastanza buona: i decessi stanno diminuendo, come i numeri dei casi per tampone e la percentuale dei malati. Ci sono buoni segnali anche su terapie intensive e ricoveri”, rileva Parisi. Adesso, prosegue, la sfida è “essere abbastanza veloci nell’identificare nuovi focolai e nel bloccarli velocemente”.
Questo è relativamente semplice quando si tratta di eventi circoscritti, come è accaduto nei casi di contagio legati nel Lazio a quattro funerali, mentre “non abbiamo ancora fatto un test sulla capacità di identificare nuovi focolai in situazioni più aperte, come quelle legate all’uso dei messi pubblici”.
Continua infine a esserci, secondo il fisico, “un enorme ritardo, di quasi dieci giorni, relativo alla comunicazione della data dei sintomi, ai quali vanno aggiunti i cinque giorni che in media sono necessari per sviluppare i sintomi”. In questa situazione, conclude, “potrebbe essere utile considerare altri indicatori, come le chiamate ai pronto soccorso per problemi respiratori e le richieste dei tamponi fatte dai medici”.
(di Enrica Battifoglia/ANSA)