Allarme Istat, contrattazione bloccata per 10 milioni

Un lavoratore part-time di una catena di fast food.
Un lavoratore part-time di una catena di fast food. (ANSA)

ROMA.  – Quasi dieci milioni di italiani aspettano il rinnovo del contratto. Un numero quasi raddoppiato nell’arco di un trimestre. In ballo ci sono gli aumenti di stipendio, che ogni accordo porta con sé. E infatti la crescita delle retribuzioni a marzo continua ad essere anemica, praticamente ferma nel confronto mensile.

E di certo “l’incertezza” generata dall’emergenza non aiuta. Ad allertare sul rischio di “un’ulteriore decelerazione” è lo stesso Istat. A riprova degli effetti del Coronavirus sul lavoro. Una crisi che mette a repentaglio la metà dei posti a livello globale, sentenzia l’Organizzazione mondiale del lavoro (Ilo).

In conseguenza della pandemia, quasi un miliardo e 600 mila lavoratori dei settori dell’economia informale hanno visto il loro salario ridotto in media del 60% in un mese, sottolinea l’istituto.

In questa situazione diventa difficile pensare ai tradizionali tavoli di negoziazione per mettere a punto scatti di stipendio. Cassa integrazione generalizzata e smart working sono ormai le parole chiave dell’attuale fase. I rinnovi contrattuali potrebbero però essere anche la strada per disegnare un’organizzazione del lavoro che cambia e si adegua alla pandemia.

I dati dell’Istituto di statistica intanto ci dicono che alla fine di marzo si registrano 9,9 milioni di dipendenti con il contratto scaduto. Ci sono gli statali ma anche i metalmeccanici, fino ad arrivare a commessi e camerieri.

É fuori quindi la P.a nel suo complesso e i tre quarti del privato. Quelli in ‘regola’ con i tempi, che prestano servicio in base a intese ancora in vigore, sono una netta minoranza: 2,4 milioni.

Sono oltre cinquanta le intese che imprese e sindacati dovrebbero finalizzare per portare la copertura contrattuale al 100%. Il che richiederebbe un’attività negoziale quanto mai intensa e massiccia.

La Cgil, con la segretaria confederale Tania Scacchetti, riconosce la peculiarità del momento ma “non accetta di parlare di moratorie o proroghe: i contratti vanno rinnovati, obviamente si tratta di gestire una fase nuova: cambiano gli orari, c’è il distanziamento da rispettare, si modifica l’organizzazione del lavoro.

Si deve parlare di smart working, di formazione, di valorizzazione con gli inquadramenti, oltre al tema della necessità di garantire i giusti aumenti contrattuali”. Immaginare un nuovo modello “forse è prematuro” ma anche il contratto nazionale “deve essere lo strumento per dare valore al lavoro”.

Comunque già a bocce ferme per ottenere un rinnovo passa più di un anno: l’attesa media calcolata dall’Istat è di 13,9 mesi.

Lo stravolgimento procurato dal virus non può far altro che allungare i tempi. Che significa rimandare gli incrementi contrattuali in una situazione in cui sul mese la retribuzione oraria cresce appena dello 0,1%, che diventa 0,7% su base annua. Una dinamica che l’Istituto definisce “molto moderata”.  E potrebbe assottigliarsi visto che ci sono 8 dipendenti su 10 che aspettano.

Lo scenario internazionale non conforta, secondo l’Ilo un miliardo e mezzo di persone, quasi la metà della forza lavoro, potrebbe perdere i propri mezzi di sussistenza. Tornando all’Italia, l’inflazione bassissima (allo 0,1% a marzo) attenua il colpo, frenando l’erosione del potere d’acquisto.

Ma se si va a vedere quel che succede al cosiddetto “carrello della spesa” (+1%) le carte in tavola cambiano, con l’indice dei prezzi che scavalca l’aumento delle retribuzioni contrattuali.

(di Marianna Berti/ANSA)

Lascia un commento