Occupazione 2019 tocca i massimi, ora spettro Covid-19

Un lavoratore part-time di una catena di fast food.
Un lavoratore part-time di una catena di fast food. (ANSA)

ROMA.  – Il mercato del lavoro si avvia verso una fase di nuova incertezza, di fatto già scattata, pronta a mettere in archivio il miglioramento che aveva segnato in particolare la fine del 2019. E così la ripresa che ha portato i livelli occupazionali ai massimi storici dalla metà dell’anno scorso in poi sarà presto alle spalle.

Anche in questo caso con un effetto negativo dal coronavirus: “La comparsa del Covid-19 a gennaio 2020 e la sua rapida diffusione in Cina e nel resto del mondo stanno indebolendo ulteriormente le prospettive di crescita economica con un prevedibile impatto sfavorevole anche sul mercato del lavoro”, si legge nel rapporto annuale pubblicato da ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal.

Una prospettiva di calo già evidenziata all’inizio del nuovo anno, prima che esplodesse in Italia l’emergenza coronavirus. Se nel terzo e nel quarto trimestre 2019, infatti, l’occupazione nel nostro Paese, sottolinea il report fotografando gli ultimi dati, ha toccato il massimo storico di 23,4 milioni di unità, “nei dati preliminari di dicembre e gennaio si registra un calo sia del numero di occupati sia del tasso di occupazione”. Ed è anche vero che l’aumento del numero degli occupati non è andato di pari passo con l’aumento delle ore lavorate. Che, anzi, non hanno mai recuperato i livelli pre-crisi.

“Permane – afferma il rapporto – la tendenza ad una crescita occupazionale a bassa intensità lavorativa: il numero di occupati supera il livello del 2008 ma la quantità di lavoro utilizzato è ancora sensibilmente inferiore”. La risposta è nell’incremento del ricorso al part-time, sempre più imposto e non scelto. Altro elemento su cui emergono i divari con l’Ue. Quello che si chiama part-time involontario diventa infatti spesso l’alternativa all’orario standard: in Italia tra il 2008 e il 2018 (quando gli occupati part-time erano 4,3 milioni, il 18,6% del totale) “la quota di occupati a tempo parziale che dichiara di non aver trovato un lavoro a tempo pieno è passata dal 40,2% al 64,1% mentre in Europa è scesa dal 24,5% al 23,4%”.

Difatti, si legge ancora nel rapporto, in Italia il ricorso al part-time “si lega più a strategie delle imprese che ad esigenze degli individui e ha rivestito un ruolo di sostegno all’occupazione nei periodi di forte calo del tempo pieno”.

Il report fa il punto anche sui licenziamenti relativi ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato, che sono passati da 647 mila nel 2014 a 579 mila nel 2018. La gran parte è motivata da ragioni economiche, “circa nove su dieci – è il dato – ma l’incidenza di quelli disciplinari sul totale dei licenziamenti risulta in crescita: dal 7,4% del 2014 al 13% del 2018”. In calo anche gli infortuni sul lavoro denunciati all’Inail, quasi dimezzati rispetto agli inizi degli anni duemila.

Nel 2018 sono stati quasi 563 mila, oltre 1.500 al giorno, in lieve flessione rispetto al 2017 (-0,5%, circa 3 mila in meno), ma dal 2008 la diminuzione delle denunce è stata del 35,5%, con oltre 300 mila casi in meno: dai primi anni del 2000, quando superavano quota 1 milione, sottolinea il rapporto, si sono così ridotte di quasi la metà.

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