Ankara accusa la Grecia: “Spari sui migranti al confine”

Migranti passano un fiume vicino a Pazardule in Edirne vicino alla frontiera turca con Grecia.
Migranti passano un fiume vicino a Pazardule in Edirne vicino alla frontiera turca con Grecia. (AP Photo/Darko Bandic)

ISTANBUL. – Un muro di gas lacrimogeni e getti d’acqua per respingere l’avanzata verso il confine greco dei migranti, che rispondono con una sassaiola. In mezzo ai campi turchi dove si disperdono le migliaia di persone accalcate alla frontiera d’Europa si scatena il caos, tra urla e rumori di spari.

Secondo Ankara, ci sono anche “proiettili veri” tra quelli impiegati dalle guardie di confine di Atene. Almeno in sei rimangono feriti. Uno di loro, colpito al torace, muore poco dopo in ospedale. Ma il governo greco “nega categoricamente” e accusa la Turchia di aver sparato lacrimogeni contro i suoi agenti.

Al sesto giorno di accampamento, tra i migranti cui Recep Tayyip Erdogan ha “aperto le porte” dell’Ue crescono stanchezza ed esasperazione. Per loro il passaggio promesso resta una chimera, mentre si disperdono sempre più lungo i confini con Grecia e Bulgaria, in cerca di vie inesplorate e non sorvegliate. Secondo Ankara sono ormai 135 mila, la Grecia conferma finora 24 mila tentativi falliti di attraversamento.

L’Unicef sottolinea che per il 40% si tratta di donne e bambini che necessitano di protezione. In cerca di una soluzione alla nuova crisi migratoria, dopo la tappa di ieri al confine greco, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha raggiunto ad Ankara l’Alto rappresentante Josep Borrell per incontrare Erdogan. Che ancora una volta ha ribadito le sue richieste: “Se i Paesi europei vogliono risolvere la questione, devono sostenere gli sforzi della Turchia per soluzioni politiche e umanitarie in Siria”, dove vuole creare una zona cuscinetto per ospitare i rifugiati, oltre ai 3,6 milioni che già accoglie.

Di fronte al “ricatto”, i responsabili dall’Unione insistono sulla necessità di “ristabilire la collaborazione, cercando nuove soluzioni ed evitando passi unilaterali”, e promettono 170 milioni di euro di aiuti per “i più vulnerabili in Siria”. Ma per il momento Erdogan tira dritto. “Oggi ogni Paese europeo che cerca di rimandare indietro i rifugiati a cui ha chiuso i confini, picchiandoli e affondando le loro barche, viola la Dichiarazione universale dei diritti umani. La Grecia – ha accusato il leader turco, evocando il piccolo morto di due giorni fa in un naufragio a Lesbo – affonda i gommoni lasciando morire i bambini a bordo”.

E proprio sulle isole greche la tensione resta alta dopo gli episodi di violenza di estremisti locali anti-migranti. Una nave della Marina di Atene è giunta a Lesbo per prelevare e ospitare a bordo diverse centinaia di profughi sbarcati negli ultimi giorni, dopo che i guardacoste turchi hanno smesso di bloccarli. Da quel momento, gli arrivi sulle isole sono stati 1.720.

Intanto sull’altro fronte dell’emergenza, al confine turco-siriano, si continua a combattere. Altri due soldati di Ankara sono morti a Idlib negli scontri con le forze di Bashar al Assad sostenute dalla Russia, mentre l’Osservatorio siriano per i diritti umani conferma 9 vittime tra i militari di Damasco. Mosca dal canto suo accusa i turchi di non aver adempiuto agli obblighi dell’accordo di Sochi di creare una zona demilitarizzata, inviando invece una “divisione meccanizzata” a difesa delle “roccaforti dei terroristi”.

La corsa a rosicchiare terreno strategico prosegue in vista del cruciale faccia a faccia domani a Mosca tra Erdogan e Vladimir Putin, che entrambi sperano porti a “una soluzione politica” e “una tregua rapida”.

Il leader turco ci arriva dopo un riavvicinamento con gli Usa, al punto da chiedere armi e munizioni a Donald Trump per la guerra contro Assad. Che, ribadisce, è l’unico nemico. Con la Russia e l’Iran, suoi sostenitori in armi, un accordo è invece ancora possibile. E domani cercherà di ottenerlo.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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