In Cina il primo “contagio di ritorno” dall’Italia

Un uomo cammina indossando la mascherina a Giacarta, Indonesia.
Un uomo cammina indossando la mascherina a Giacarta, Indonesia. (ANSA)

PECHINO.  – I morti per il nuovo coronavirus superano quota 3.000 nel mondo ma in Cina 18 province hanno già abbassato l’allerta sull’epidemia partita da Wuhan, puntando a far ripartire l’economia, come caldeggiato dal presidente Xi Jinping. Il percorso di allentamento delle limitazioni – iniziato il 24 febbraio con Gansu, Liaoning, Guizhou, Yunnan, Shanxi e Guangdong – ha visto oggi l’adesione dello Zhejiang, la stessa provincia che domenica ha ufficializzato il primo caso di contagio di ritorno del Covid-19 dall’Italia.

Il downgrade dell’allerta (da 1 a 2) ha trovato conforto negli aggiornamenti riferiti a domenica sera diffusi dalla Commissione sanitaria nazionale: altri 42 decessi (2.912 in totale) e 202 nuovi contagi certi (solo sei fuori dall’Hubei), a quota 80.026. Sono i numeri più bassi da settimane. E a Wuhan, focolaio del coronavirus, ha chiuso il primo dei 16 ospedali messi a punto con la massima urgenza dopo lo scoppio dell’epidemia. La decisione è maturata grazie al drastico calo delle nuove infezioni, ha riferito il network statale Cctv, ma solo dopo aver dimesso gli ultimi pazienti guariti. L’Hubei ha segnalato domenica 196 contagi, scivolando per la prima volta dal 24 gennaio sotto quota 200.

Lo Zhejiang, da dove provengono gran parte dei cittadini cinesi residenti a Milano, ha avuto il primo caso di contagio di ritorno del coronavirus dall’Italia, dopo quelli quasi tutti legati all’Iran di Pechino, del Guangdong e della regione autonoma Ningxia Hui. La commissione sanitaria locale, secondo il Global Times, ha riferito che la positività ai test è maturata domenica: Wang, questo il cognome della donna di 31 anni, era rientrata da Milano nella contea di Qingtian il 28 febbraio. La paziente aveva preso medicine dal 16 febbraio ai primi sintomi di febbre, tosse e diarrea.

In Corea del Sud, intanto, il sindaco di Seul Park Won-soon ha deciso di citare in giudizio 13 leader della Chiesa di Gesù Shincheonji, incluso il fondatore Lee Man-hee del grupo religioso di Daegu che s’è trasformato in un potente focolaio del virus. Su Facebook, Park ha spiegato di voler agire “per omicidio, lesioni e violazione su prevenzione e gestione delle malattie infettive”, contestando anche l’ostruzione agli sforzi messi in campo dalle autorità di Seul contro la diffusione del virus tra i suoi seguaci. Lee, 88 anni, ha tenuto in giornata una conferenza stampa per poi inginocchiarsi e scusarsi per i problemi causati all’intera Corea del Sud. Agli adepti della sua setta fa capo il 60% circa delle 4.335 infezioni accertate, di cui 28 morti. Seul si piazza al secondo posto nel mondo per contagi dopo la Cina.

In Iran, invece, un membro del Consiglio per il Discernimento del sistema, organo consultivo per la Guida suprema Ali Khamenei (formato da una quarantina di alti funzionari) è morto dopo aver contratto il Covid-19. Mohammad Mirmohammadi, ex parlamentare di Qom e membro del Consiglio dal 2018, è deceduto a 78 anni. Teheran ha confermato altre 12 persone contagiate che sono norte tra ieri e oggi nel Paese, portando il totale a 66.

I nuovi casi registrati sono 523, su un totale di 1.501. Il viceministro della Salute Alireza Raissi ha ammesso che “le province più  colpite sono Teheran, Qom e Gilan”, segnalando anche 116 persone guarite, fino a quota 291.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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