“Caccia ai musulmani” a Delhi, 20 morti nelle violenze

Una squadra delle forze di sicurezza indiane pattuglia una strada divenuta escenario di scontri violenti tra fazioni politiche rivali a New Delhi.
Una squadra delle forze di sicurezza indiane pattuglia una strada divenuta escenario di scontri violenti tra fazioni politiche rivali a New Delhi. (EFE/EPA/STR)

NEW DELHI. – É di 24 morti, oltre 140 feriti e di incalcolabili danni economici, il bilancio dei tre giorni di violenze scoppiate a New Delhi tra chi sostiene e chi si oppone alla controversa legge sulla cittadinanza voluta dal premier Narendra Modi. La città, un dedalo di strade e vicoli, era un inferno, con fumo e fiamme dalle case che bruciavano, negozi saccheggiati e distrutti, copie del Corano fatte a brandelli lungo le strade, moschee devastate.

Tutt’attorno, l’assedio di gruppi di indù che chiedevano a chiunque passasse  di dichiararsi induista o musulmano. C’è voluta una udienza straordinaria nell’abitazione di un magistrato dell’Alta Corte per ottenere l’altra notte che gli agenti di polizia creassero un corridoio di sicurezza, permettendo a cinquanta feriti gravi, imprigionati in uno dei quartieri rimasti senza luce, di essere trasferiti in ospedale. Violenze che hanno fatto ripiombare alcuni quartieri a nord est della capitale indiana nelle atmosfere del 1984, quando, con assalti organizzati contro i sikh, vennero uccise migliaia di persone.

Oggi a Chand Bagh, Bajapura, Gokalpuri, Khajuri Khas, Maujpur, Jyoti Nagar, zone in cui fino a pochi giorni fa convivevano musulmani e indù, (e dove, all’improvviso, in alcune strade, sono comparse bandiere color zafferano, per segnalare la presenza di famiglie) la tensione è calata e ci sono stati solo alcuni sporadici scontri, mentre il governatore Kejriwal girava nei quartieri e incontrava i feriti negli ospedali. Per due giorni, mentre nella capitale cresceva la fiammata di violenza, il premier Modi, impegnato con la visita  del presidente Trump non ne ha fatto cenno, fino a quando con un tweet più da guru spirituale che da politico, ha invitato “le sorelle e i fratelli di Delhi a mantenere la pace e la fratellanza”.

Ma l’Alta Corte ha ordinato alla polizia di incriminare Kapil Mishra, l’ex parlamentare del Bjp, stesso partito del premier, che da vari giorni incitava alla vendetta fai-da-te nei confronti delle manifestazioni contro la legge sulla cittadinanza, istigando alla violenza, con ripetuti appelli. E il governatore ha chiesto di imporre il coprifuoco.

I primi incidenti nell’area sono avvenuti domenica pomeriggio, quando gruppi di favorevoli alla legge si sono scontrati con gruppi di oppositori; da lunedì gli incidenti sono degenerati, trasformandosi in attacchi organizzati di squadre che, armate di spranghe, bastoni, catene, e armi da fuoco, si sono scatenate contro i musulmani devastando e bruciando negozi, case, laboratori, moschee e aggredendo le persone in strada: una furia che la polizia, che dipende dal ministero degli Interni, non è riuscita, o ha deciso di non tentare neppure di contenere.

Secondo vari commentatori, queste violenza non sarebbero frutto del caso: ci sarebbe una strategia precisa, un tentativo per mettere in difficoltà il governatore di Delhi Kejriwal, rieletto appena tre settimane fa alla guida della città, con un consenso altissimo. Gli elettori hanno premiato Kejriwal, ma l’ordine pubblico dipende dal ministero degli Interni, e Kejriwal, che su questo tema non ha strumenti, può essere azzoppato, e messo all’angolo, con facilità.

(di Rita Cenni/ANSA)

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