”Io italiana combatto il virus in Francia”

La ricercatrice italaina Vittoria Colizza dell'istituto Inserm a Parigi, rivece il premio Louis-Daniel Beauperthuy dall'Accademia Francese di Scienza per il suo contributo ai progressi nel campo della computalogia epidemologica nel 2012.
La ricercatrice italaina Vittoria Colizza dell'istituto Inserm a Parigi, rivece il premio Louis-Daniel Beauperthuy dall'Accademia Francese di Scienza per il suo contributo ai progressi nel campo della computalogia epidemologica nel 2012. (epicxlab.com)

PARIGI. – “L’Italia produce moltissimi “cervelli”, poi non solo non li trattiene, ma ne attrae pochi dall’estero. Conosco tanti casi come quelli delle due ricercatrici precarie di Roma che hanno lavorato sul Coronavirus, l’Italia dovrebbe dare spazio alle sue eccellenze. Non ha un problema a crearle ma non riesce a dare loro la possibilità di svilupparsi”: lo spiega all’ANSA Vittoria Colizza, ricercatrice italiana in Francia, a capo di un’unità del prestigioso Inserm, punta di diamante della battaglia contro il Coronavirus.

Romana, 41 anni, bionda, determinata, Vittoria ha sempre “inseguito l’eccellenza”, come spiega lei stessa. Le Monde le dedica un ritratto di una pagina, in cui la descrive nel titolo come preda del “virus della ricerca”. Fisica di formazione – famiglia di medici, ha studiato alla Sapienza – con lei in facoltà le studenti donne erano 4 su un totale di 400. Oggi, nella sua squadra da lei stessa costituita all’Inserm, ci sono più donne che uomini. E in maggioranza italiani. “Sono arrivata nel 2011, i colleghi francesi ci chiamano “les italiens” – racconta – a lavorare sul Coronavirus siamo in 6 e 5 sono italiani. Non ho cercato specificamente in base alla nazionalità, è che gli italiani sono molto bravi e non hanno paura a spostarsi. Ricevo molte domande di giovani studenti, sono pronti a venire anche per una tesi di master, non hanno neppure timore di cambiare disciplina, passando ad esempio come me dalla fisica alla salute pubblica”.

La sua carriera l’ha portata in luoghi dove ha cercato soltanto l’eccellenza, da Trieste (dalla Sissa, la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) fino all’Università di Bloomington, nell’Indiana, in pieno midwest americano. Nel 2007 il ritorno in Italia, all’Istituto di Interscambio scientifico (ISI) di Torino, dove mette a punto un modello di previsione durante la pandemia dell’influenza H1N1 del 2009-2010.

Poi la scelta della Francia, il concorso vinto all’Inserm, la guida del Laboratorio delle epidemie in ambienti complessi: “sviluppiamo modelli – spiega – che tengono conto degli spostamenti degli individui, che possono avvenire su  scale diverse e con vari mezzi di trasporto. Per il Coronavirus guardiamo essenzialmente ai viaggi aerei dall’epicentro dell’epidemia verso gli altri paesi. Lavoriamo sui dati del trasporto aereo ma teniamo anche conto della situazione epidemica alla sorgente”.

Oggi la preoccupazione di Vittoria Colizza si chiama Africa: “Già in un primo lavoro due settimane fa abbiamo valutato il rischio di importazione in Europa del virus, aggiornandolo poi dopo la prima restrizione ai viaggio a Wuhan, con la chiusura dell’aeroporto. In relazione ai casi osservati, Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia erano i paesi a più alto rischio per i casi importati dalla Cina. Ma avevamo già immaginato l’Africa come zona a rischio inferiore di importazione ma con capacità di gestione”.

“Per questo virus – conclude – abbiamo un solo grande focolaio, in Cina. Se ci sono casi importati, bisogna interrompere la trasmissione locale, essere in grado di identificare con rapidità la fonte e poi evitare il contagio. Dall’Africa questa risposta è più debole, per mezzi e per risorse”.

(di Tullio Giannotti/ANSA)

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