DOHA. – “I governi devono rispettare la libertà di stampa e i diritti umani, i crimini e gli abusi commessi contro i giornalisti non possono rimanere impuniti. La professione sta affrontando nuove e sempre più difficili sfide, occorre essere uniti per difenderla”.
Il presidente della Federazione Internazionale di giornalismo, Younes Mjahed, lancia l’allarme alla Conferenza di Doha su social media e diritti umani, che si è chiusa con raccomandazioni ai governi e alle grandi compagnie.
Marocchino, nato come editore nel suo paese, ha anche un passato come attivista politico che gli è costato 10 anni di prigione. In un’intervista con l’ANSA, chiede supporto all’iniziativa che la Federazione intende portare avanti nell’immediato futuro. “Abbiamo un progetto di convenzione con le Nazioni Unite per la protezione dei giornalisti – fa sapere il presidente Ifj -, con la creazione di un meccanismo di indagine internazionale su tutte le forme di repressione contro i giornalisti.
Siamo stati nel quartier generale delle Nazioni Unite a New York e a Ginevra, dove torneremo il prossimo 13 marzo. Speriamo che gli stati democratici ci supportino per il successo di questo progetto. La libertà di stampa e la difesa dei giornalisti è un pilastro della democrazia ed è anche una responsabilità degli stati”.
“La principale minaccia restano gli omicidi dei giornalisti, ma ci sono anche detenzioni, aggressioni fisiche e tutte le altre forme di repressione – spiega Mjahed -. Il giornalismo rimane una professione molto pericolosa in diversi paesi del mondo. Inoltre le condizioni di lavoro si stanno deteriorando a causa della crisi economica in diversi settori della stampa”.
Secondo l’ultimo rapporto annuale della Ifj, pubblicato il 4 febbraio scorso, 49 giornalisti sono stati uccisi nel 2019. La grande emergenza è l’America Latina dove si sono registrate 18 vittime, seguita da Asia (12), Africa (9), Medio Oriente e mondo arabo (8) e Europa (2).
“I maggiori problemi si riscontrano negli stati non democratici, che non rispettano i diritti umani e la libertà di espressione – precisa il presidente dell’Ifj -. Sono aree molto pericolose per il giornalismo indipendente, che mantengono strutture di facciata artificiali, ma in realtà hanno leggi e meccanismi repressivi.
Preferisco non fare i nomi dei singoli paesi, perché ci sono stati in cui non ci sono giornalisti in prigione, ma all’intera società è messa la museruola e il sistema politico è totalmente bloccato. L’Ifj rifiuta la classificazione dei paesi per quanto riguarda la libertà di stampa, per non per dare carta bianca a nessun paese, ma anche perché il metodo di classificazione rimane sempre approssimativo”.
La Federazione internazionale, insieme all’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha contribuito all’organizzazione della conferenza. “Siamo qui per difendere la libertà di stampa – sottolinea Mjahed -. Il focus è stato sui social network e sulle nuove tecnologie dell’informazione. Ora ci interessa andare avanti con altri partner in tutto il mondo per trovare soluzioni a problemi complicati.
Da un lato abbiamo l’obbligo di difendere la libertà di espressione, che si è sviluppata con la rivoluzione digitale, e dall’altro dobbiamo proteggere la società dagli effetti negativi di questa rivoluzione. E’ un’equazione difficile da risolvere ed è per questo che siamo qui, per continuare la riflessione collettiva”.
(dell’inviato Michele Cassano/ANSA)