Pubblica amministrazione paga in ritardo, Ue baccchetta l’Italia

Impiegata della Pubblica amministrazione nel suo posto di lavoro davanti ad un computer.
Impiegata della Pubblica amministrazione nel suo posto di lavoro davanti ad un computer. (ANSA)

BRUXELLES. – La Corte di giustizia della Ue mette fine al contenzioso tra Commissione europea e Governo italiano sul ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione. Le giustificazioni delle autorità di Roma non hanno convinto i giudici di Lussemburgo: l’Italia ha violato la direttiva che obbliga lo Stato a pagare le fatture entro 30-60 giorni, e non è un’attenuante il fatto che i ritardi si stiano riducendo.

La sentenza riaccende la polemica politica, con le opposizioni, da Salvini a Berlusconi, che attaccano il Governo per l’incapacità di risolvere un problema che mette le imprese in forte sofferenza.

Secondo l’ultimo aggiornamento sui pagamenti dei debiti della P.a. pubblicato sul sito del Mef a novembre, il tempo medio con cui la pubblica amministrazione nel 2018 ha saldato i suoi debiti è di 54 giorni, con un ritardo medio di 7 giorni sulla scadenza delle fatture.

L’Ance, l’associazione dei costruttori, denuncia addirittura ritardi di 4 mesi nell’edilizia. Un tempo eccessivo, visto che la direttiva Ue sui ritardi di pagamento della P.a. impone di pagare le merci e i servizi acquistati entro 30 giorni o, in circostanze eccezionali, entro 60 giorni dal ricevimento della fattura.

La Commissione europea, alla quale diversi operatori economici avevano rivolto varie denunce per i ritardi, ha aperto nel 2014 una procedura d’infrazione contro l’Italia, arrivata nel 2017 all’ultimo stadio, cioè il ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte.

L’Italia ha sostenuto, a propria difesa, che la direttiva 2011/7 impone agli Stati membri di garantire solo termini di pagamento “conformi” e di prevedere un risarcimento e interessi di mora in caso di mancato rispetto dei termini. Secondo l’Italia, la direttiva “non impone agli Stati membri di garantire l’effettiva osservanza, in qualsiasi circostanza”, dei termini di pagamento. Ma la Corte ha respinto in pieno tale argomentazione.

Inoltre, secondo la Corte, anche se la situazione dei ritardi è “in via di miglioramento in questi ultimi anni” – come afferma anche il ministero del Tesoro – non impedisce ai giudici di dichiarare che “la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi del diritto dell’Unione”. Perché “l’esistenza di un inadempimento” viene valutata allo scadere del termine fissato dal parere motivato, cioè il secondo passo della procedura d’infrazione. Nel caso di specie si è valutata la situazione al 16 aprile 2017.

Secondo Confartigianato, ancora nel 2018 l’Italia deteneva il record di debiti commerciali della P.a. verso le imprese fornitrici di beni e servizi: 3% del Pil, il doppio rispetto all’1,6% della media dei Paesi Ue. La Commissione dovrà ora verificare se l’Italia si allineerà alla sentenza della Corte. Se invece continuerà a non rispettarla, l’esecutivo potrà appellarsi nuovamente ai giudici del Lussemburgo chiedendo di condannare l’Italia al pagamento di una multa.

Il ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola, invita a guardare ai progressi fatti dal 2015, ma Matteo Salvini attacca Conte: “Invece di passare il tempo a insultarmi, lavori (come la Lega gli ha chiesto per mesi) perché lo Stato paghi i miliardi di euro di debiti nei confronti di privati e imprese. Lo faccia in fretta, o si dimetta”. E Silvio Berlusconi punta il dito contro lo Stato che, in alcuni casi, per i ritardi ha fatto fallire delle imprese.

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