BRUXELLES. – Il giorno dopo la Conferenza di Berlino, l’Unione europea rilancia l’operazione Sophia, che in futuro non dovrà più occuparsi di lotta a scafisti e trafficanti di migranti ma avrà lo scopo di vigilare sull’embargo Onu sulle armi, ed avvia il lavoro per una missione di pace in Libia, per salvaguardare un cessate il fuoco che però – come avverte l’Alto rappresentante Josep Borrell – “per ora ancora non c’è”.
La cautela su entrambe le iniziative è comunque d’obbligo, anche perché nel day after di Berlino emerge con chiarezza quanto la tregua raggiunta sia fragile, con il premier libico tripolino Fayez al-Sarraj che rifiuta di partecipare a nuovi colloqui con il comandante dell’Esercito nazionale libico Khalifa Haftar di cui non si fida perché “non rispetta i patti”.
L’appuntamento per una verifica sulle due iniziative è fissato per il 17 febbraio, quando i capi delle diplomazie europee si incontreranno di nuovo per fare il punto sui negoziati, che nelle prossime settimane saranno condotti dagli ambasciatori del Comitato politico e di sicurezza (Cops).
“Borell si è impegnato a costruire una proposta” per una missione europea in Libia “e la faremo”, annuncia il capo della Farnesina Luigi Di Maio, riemergendo da una discussione di due ore concentrata sulla Libia al consiglio dei ministri degli Esteri europei a Bruxelles. “Ma è giusto che ci sia cautela nell’approcciarsi a una missione di monitoraggio e peacekeeping”, sottolinea, prendendo atto della prudenza espressa da vari suoi omologhi – dall’austriaco Alexander Schallenberg alla svedese Ann Linde, al lussemburghese Jean Asselborn – che nelle loro valutazioni definiscono il progetto “prematuro”. Lo stesso Alto rappresentante avverte: “La condizione necessaria è che la tregua si stabilizzi e diventi un cessate il il fuoco reale”.
A remare contro l’ipotesi è anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, “contrario ad un ruolo di coordinatrice dell’Ue nel processo” di pace in Libia (nelle prossime settimane l’Unione potrebbe adottare le prime sanzioni contro i responsabili delle trivellazioni turche a Cipro).
D’altra parte sul rilancio della missione Sophia, salutata con favore da Paolo Gentiloni, è Di Maio a fare i distinguo. Se si parla di far rivivere l’operazione, deve “essere smontata e rimontata in maniera diversa, deve essere una missione per non far entrare le armi” in Libia “e per rispettare il cessate il fuoco, per far in modo che si avvii un percorso politico. Null’altro”, chiarisce. La preoccupazione sullo sfondo è che sull’ipotesi si scateni la propaganda politica avversaria, anche in vista delle elezioni regionali di domenica. E la posta a cui Di Maio realmente punta (in una sorta di do ut des) è la guida della missione di peacekeeping – fortemente voluta dall’Italia che si è già detta disposta a parteciparvi – se e quando ci sarà.
L’operazione Sophia dovrà quindi essere “rifocalizzata” sul monitoraggio dell’embargo delle armi, con l’uso di satelliti, aerei e altri strumenti ora non previsti, “perché i traffici si fanno soprattutto nei deserti”, evidenzia Borrell, lasciando intendere che le navi ci saranno, ma a differenza del passato non avranno un ruolo centrale nell’operazione, riducendo così la possibilità di soccorsi dei migranti, che comunque in occasione di naufragi dovranno essere salvati. Ed essere ridistribuiti, come osserva Asselborn.
“Oggi c’è stata la volontà politica”, nessuno è stato contrario, ma sarà il Cops a decidere”, anche sulla spinosa questione del porto di sbarco, spiega l’Alto rappresentante. Certo, ammette, “quando si dice operazione Sophia la gente in Italia pensa subito alla migrazione. Per questo verrà fatto un grande lavoro, per dire chiaramente che questo rilancio” nulla più ha a che fare con la questione dei migranti.
(di Patrizia Antonini/ANSA)