Iran non vuole la guerra, Usa avvisati in anticipo

Iraniani guardano un missile Shahab 1 gli stessi lanciati sulla base americana in Iraq..
Iraniani guardano un missile Shahab 1 gli stessi lanciati sulla base americana in Iraq.. EPA/STRNGER

ROMA. – L’Iran ha dato “un schiaffo” agli Usa ed è pronto a continuare la lotta fino ad espellere le truppe Usa da tutto il Medio Oriente. Ma allo stesso tempo non vuole la guerra e giudica completata la sua rappresaglia per l’uccisione del generale Qassem Soleimani.

Dalla Guida suprema Ali Khamenei al ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif, le dichiarazioni che da Teheran hanno accompagnato il bombardamento missilistico contro gli americani in Iraq alternano il registro bellicoso a toni distensivi, in un gioco politico-diplomatico di cui la Repubblica islamica ha già dato prove magistrali in passato.

A Washington fanno da controcanto le parole del presidente Donald Trump, che torna a giustificare l’uccisione di Soleimani definendolo “il maggiore terrorista del mondo”, promette nuove sanzioni, ripropone la formula di “tutte le opzioni”, compresa quella militare, ancora aperte contro la Repubblica islamica, espressione cara anche al suo predecessore Barack Obama.

Ma chiude con un chiaro impegno a mettere fine allo scontro che ha fatto temere un conflitto aperto se da parte sua l’Iran farà altrettanto. L’appello non è diretto solo al popolo iraniano, ma anche esplicitamente “ai leader” di Teheran.

Trump torna a parlare di una riapertura dei negoziati sull’accordo nucleare, da cui gli Usa si sono ritirati nel 2018, per arrivare ad un accordo che permetta all’Iran di mettere a frutto le sue enormi potenzialità e prosperare. Un’ipotesi che a Teheran non è mai stata respinta dal presidente Hassan Rohani – nonostante la contrarietà più volte manifestata dalla Guida suprema Ali Khamenei – ma solo a patto che Washington revochi le pesantissime sanzioni che stanno strangolando l’economia iraniana.

La Repubblica islamica e gli Usa, dunque, ribadiscono di essere pronti a combattere se attaccati dall’altro, o a sotterrare almeno per il momento l’ascia di guerra considerando chiusa la crisi cominciata con l’uccisione del ‘Martire Soleimani’, come è stata denominata l’operazione iraniana della scorsa notte.

E non sembra un caso che i bombardamenti missilistici su due basi non abbiano provocato vittime fra i militari americani, un’eventualità che avrebbe probabilmente portato ad una nuova risposta statunitense alimentando ulteriormente la spirale della violenza.

Fonti irachene hanno detto di essere state avvisate in anticipo dagli iraniani dell’imminente attacco. A loro volta avrebbero dunque messo in allarme gli americani, permettendo loro di mettersi al riparo. Fonti americane citate dalla Cnn ipotizzano addirittura che i Pasdaran abbiano mancato volontariamente i loro bersagli.

Ma non è da escludere che l’esito incruento dell’operazione sia stato reso possibile da accordi diretti fra gli Usa e l’Iran. Zarif ha fatto sapere di aver mandato un messaggio agli americani dopo l’attacco attraverso i canali abituali. Cioè l’ambasciata svizzera, che cura gli interessi americani in Iran e attraverso la quale c’era già stato un dialogo tra i due ‘nemici’ il giorno dopo l’uccisione di Soleimani.

In quell’occasione l’incaricato d’affari svizzero aveva portato un messaggio americano alle autorità iraniane, che soltanto a tarda sera, dopo un’intensa giornata di consultazioni, erano tornate a convocarlo per consegnare la risposta destinata a Trump. In molti hanno pensato che in questo modo i contendenti si siano accordati per stabilire i limiti di sicurezza da rispettare per prevenire lo scoppio di una guerra.

Oggi sia Rohani sia Trump hanno ricordato la lotta comune contro l’Isis negli anni scorsi. Per l’Iran Soleimani, capo delle Forze Qods dei Pasdaran per le operazioni oltre confine, è diventato il simbolo di questa guerra. Ma qualcuno, per la sua immagine di irriducibile nemico degli Usa – e le presunte ambizioni politiche – lo vedeva anche come un potente ostacolo ad un’eventuale distensione con Washington.

Con la sua sepoltura, avvenuta mercoledì nella città natale di Kerman, potrebbe quindi anche chiudersi un’epoca e dischiudersi una nuova fase nella travagliata vita della Repubblica islamica.

(di Alberto Zanconato/ANSA)

Lascia un commento