Referendum e timore voto, pressing per il ritiro delle firme

Una persona entra nella cabina elettorale per esercitare il proprio voto.
Una persona entra nella cabina elettorale per esercitare il proprio voto.

ROMA. – I principali indiziati, sono i due grandi assenti al ricevimento di fine anno al Quirinale: Matteo Salvini e Matteo Renzi. Un minuto dopo l’annuncio dell’avvio dell’iter per il referendum sul taglio parlamentari, è sui leader di Lega e Iv che tornano ad addensarsi i sospetti.

Perché la richiesta firmata da 64 senatori apre una ghiotta finestra elettorale: chi vuole tornare al voto può tentare un blitz entro la primavera, facendo leva sui parlamentari che conterebbero di avere più chance di elezione in un Parlamento di 945 scranni e non 600.

È per evitare lo scenario delle urne che al Senato sarebbero entrati in azione diversi pontieri, per provare a convincere alcuni dei firmatari a ritirare le firme. Il pressing sarebbe soprattutto sui tre senatori Cinque stelle e sui quaranta forzisti, tra i quali compaiono alcuni dei nomi come quelli di Massimo Mallegni e Andrea Cangini, finora additati come possibili responsabili pronti a passare a sostenere la maggioranza in caso di crisi.

L’esito dell’operazione per andare al voto – negata dai due “Matteo” – non è scontato perché tra deputati e senatori la voglia di elezioni è bassissima. Ma da qui a inizio febbraio le incognite sono tante e la finestra elettorale potrebbe perciò aprirsi. Dopo le regionali in Emilia Romagna, quando arriverà al dunque la verifica di governo, anche nel Pd potrebbe prevalere la voglia di votare per non farsi logorare.

Di sicuro la proposta referendaria – firmata anche dai due senatori M5S passati alla Lega – piace ai salviniani (c’è Salvini dietro l’accelerazione?, chiede più d’uno) anche perché potrebbe incrociarsi con il referendum sulla legge elettorale ideato da Calderoli per un maggioritario puro: se i due voti si sommassero, l’appuntamento sarebbe quasi un referendum su Salvini.

Ma Dem e M5s tenteranno di sminare almeno il referendum Calderoli incardinando alla Camera, prima che la Consulta si pronunci a metà gennaio, una proposta di legge elettorale: l’auspicio è che la Corte rinvii il referendum Calderoli in attesa che le Camere legiferino.

Ma è sugli scenari di voto anticipato che la politica si concentra, nel giorno della raccolta delle firme per il referendum. C’è chi obietta che la discussione non esiste perché il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non permetterebbe di votare per eleggere 945 parlamentari, mentre è pendente una riforma per ridurli a 600.

Ma l’obiezione, secondo diverse fonti, non regge: se non ci fossero maggioranze alternative all’attuale né le condizioni per un governo di unità nazionale sostenuto da tutti (come il governo Draghi evocato da Giancarlo Giorgetti), il capo dello Stato – viene fatto notare – non potrebbe che sciogliere le Camere e il referendum non potrebbe essere considerato ostativo al voto perché la legge di riduzione – proprio a causa del referendum – non sarebbe in vigore fino al parere fondamentale dei cittadini.

Piuttosto, osservano le stesse fonti, il problema si potrebbe – in punta di costituzione – porre dopo. Perché le elezioni farebbero solo slittare di qualche mese il referendum, dalla primavera all’autunno, ma alla fine si dovrà tenere e nessuno dubita della vittoria del sì al taglio dei parlamentari.

Allora sì, con una riforma costituzionale in vigore, un presidente della Repubblica potrebbe avere una ragione valida – secondo questa lettura – per sciogliere le Camere e mandare di nuovo a votare il Parlamento appena eletto con le nuove norme costituzionali in quel momento pienamente valide.

A queste ragioni “costituzionali”, si somma poi un argomento puramente politico: chi si assume una responsabilità tanto impopolare come quella di bloccare la sforbiciata di deputati e senatori? E’ questo il motivo per cui tra le fila Dem, chi più spinge perché sia il Pd a staccare la spina, sostiene: chi non vuole le urne “ha comprato tempo”.

A spingere contro le elezioni ci sono i timori di non rielezione dei peones (si moltiplicano le voci di esponenti di Iv tentati dal ritorno al Pd) e di parlamentari M5s che sarebbero tagliati fuori dalla regola dei due mandati. Da Iv respingono come “una cazzata galattica” i sospetti su Renzi e negano di voler sfruttare la soglia al 3% del Rosatellum.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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