La retata dei narcos di Roma, il loro capo era Diabolik

Sacchi di droga sequestrata.
Sacchi di droga sequestrata. ANSA/ UFFICIO STAMPA/ GUARDIA DI FINANZA

ROMA. – Non una semplice “batteria” di spacciatori e picchiatori. Non un gruppo di poche unità che operava nel singolo quartiere di Roma: quella guidata da Fabrizio Piscitelli, al secolo Diabolik ucciso con un colpo di pistola alla nuca il 7 agosto scorso mentre era in attesa di “qualcuno” in un parco della Capitale, era una organizzazione criminale strutturata su vari livelli che aveva nel narcotraffico su ampia scala il suo “core business”.

Sono in totale 51 le ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip della Capitale su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Una operazione, ribattezzata Grande raccordo criminale, che apre uno squarcio anche sul contesto criminale in cui si è consumato l’agguato ai danni di Piscitelli. Una struttura criminale che per stessa ammissione del procuratore di Roma, Michele Prestipino, “non ha eguali in altre città italiane”.

Pezzi di criminalità sportiva, ultras della Lazio, pezzi di frange politiche di estrema destra e ‘manovali della violenza’, ex pugili tra cui anche albanesi, uniti dal comune denominatore dello spaccio e del ‘recupero crediti’. A coordinare e tessere le fila del sodalizio c’era Diabolik che aveva in Fabrizio Fabietti, 42 anni, il suo braccio destro e “broker” del narcotraffico per l’ approvvigionamenti di droga.

Quest’ultimo aveva le idee chiarissime sul cosa fare. In una intercettazione afferma “a devo dà a tutta Roma…proprio i soldi voglio fa”. Fabietti aveva rapporti con la cosca di ‘ndrangheta Bellocco, i fratelli Emanuele e Leopoldo Cosentino, entrambi destinatari del provvedimento cautelare. Dal canto suo Piscitelli poteva anch’egli contare su amicizie eccellenti tra cui quella di Michele Senese, punto di riferimento della camorra a Roma.

Del gruppo facevano parte anche esponenti del mondo ultras biancoceleste: si tratta di Ettore Abramo, conosciuto come “Pluto”, 53 anni e Aniello Marotta, 43 anni, che militano negli Irriducibili. I due si trovavano già ai domiciliari perché accusati di aver lanciato, il 15 maggio scorso in occasione della finale di Coppa Italia tra Lazio e Atalanta, all’interno di un’auto della polizia locale di Roma Capitale, una torcia accesa che aveva provocato un incendio.

Altra figura apicale dell’organizzazione, nei confronti della quale la Procura aveva chiesto il riconoscimento del metodo mafioso, è Alessandro Telich, detto Tavoletta, che di professione fa il tecnico informatico. L’arrestato forniva un sistema di comunicazione all’avanguardia ai componenti del gruppo criminale. Telich è titolare di una società con sede a Dubai (Emirati Arabi Uniti) che opera nel settore del controspionaggio industriale e delle telecomunicazioni.

L’indagato, che milita anche in un gruppo ultras della Lazio, per il gruppo eseguiva bonifiche sulle autovetture e nelle abitazioni fornendo sistemi di comunicazione criptati così da rendere il sistema ancora più impenetrabile agli investigatori. Un sistema che però non è stato impermiabile alle indagini alla luce del fatto che le “cimici” piazzate nell’abitazione di Fabietti quando si trovava ai domiciliari hanno “raccontato” degli incontri che avvenivano tra venditori e acquirenti di stupefacenti.

Un vero e proprio fiume di cocaina e hashish pronta ad invadere la Capitale, dalla Bufalotta, a Colli Aniene da Tor Bella Monaca alla Romanina. Per gli inquirenti il giro d’affari si attestava intorno ai 120 milioni di euro. In soli nove mesi di indagini gli investigatori hanno ricostruito la compravendita di 250 chili di cocaina e 4.250 chili di hashish.

In base a quanto emerge dalla ordinanza, Piscitelli e Fabrizio Fabietti nell’estate del 2018 hanno tentato di concludere l’importazione, tramite un natante, di un ingente carico di hashish proveniente dal Marocco, con l’appoggio di Fabio Panichelli, già destinatario di un provvedimento restrittivo per 10 anni e 10 mesi di reclusione da scontare, in relazione a fatti analoghi.

Con gli arresti di oggi non si chiude il capitolo legato all’omicidio di Diabolik. “Questa operazione ci permette di analizzare le dinamiche e i collegamenti di chi fornire droga a Roma”, racconta chi indaga ma dalle carte emerge anche il clima intorno al “capo”. “In questi quattro anni ha fatto una scalata che non vi rendete conto – afferma uno degli indagati – non so come ha fatto”.

(di Marco Maffettone/ANSA)

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