Trump: “Senza di me Hong Kong annientata in 14 minuti”

Studenti asserragliati dentro il Politecnico di Hong Kong. (open.online)

PECHINO. – Donald Trump è convinto che senza il suo intervento Hong Kong sarebbe stata “annientata in 14 minuti”: il presidente cinese Xi Jinping ha “un milione di soldati in posizione all’esterno” dell’ex colonia e “non entrano solo perché l’ho chiesto io”, ha detto a Fox News.

Ma dell’intervista al presidente americano, trasmessa di buona mattina, a Pechino ha suscitato sicuramente interesse e grande attenzione un altro passaggio: “Dobbiamo stare con Kong Kong, ma io sto anche col presidente Xi”, ha detto sibillino il tycoon.

Parole che potrebbero essere interpretate come un segnale della possibilità che Trump possa non firmare l’Hong Kong Human Rights and Democracy Act, il provvedimento a sostegno dei manifestanti approvato pochi pochi giorni fa a Capitol Hill. Una legge, che necessita della sigla del presidente per entrare in vigore, che ha mandato su tutte le furie la Cina, arrivata a minacciare imprecisate ritorsioni. Con il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang che si è spinto a chiedere al tycoon l’esercizio del diritto di veto.

Un gesto políticamente pesante dato che il Senato, controllato dai repubblicani, ha varato il provvedimento all’unanimità.

C’è la guerra dei dazi e il mini-accordo oggetto di infinite discussioni che potrebbe mescolare le carte. “É potencialmente molto vicino”, ha detto Trump, sempre a Fox News.

Xi, invece, ha preso oggi una posizione senza precedenti nella forma e nei toni, dicendo di volere l’intesa commerciale, ma la Cina è pronta a contrattaccare. “Se sarà necesario reagiremo, ma ci siamo impegnati per evitare la guerra commerciale”, ha detto parlando a Pechino a imprenditori e funzionari Usa.

“Vogliamo continuare a lavorare per un primo accordo basato su rispetto reciproco e parità”, ha aggiunto, sottolineando l’impegno del Dragone a mantenere la sua “sovranità finanziaria”.

Nell’ex colonia, alla seconda giornata di calma, l’Alta Corte ha reintrodotto fino al 29 novembre il divieto sull’uso delle maschere negli eventi pubblici, malgrado a inizio settimana lo avesse giudicato incostituzionale.

Il governo di Carrie Lam, in attesa del ricorso sull’incostituzionalità, aveva chiesto la sospensiva sulla spinta dell’irritazione della Cina.

“Nessuna altra istituzione ha il diritto di giudicare o prendere decisioni sulla costituzionalità se non il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo”, aveva commentato Zang Tiewei, portavoce della Commissione Affari legislativi.

Hong Kong domenica, salvo sorprese, voto per le elezioni locali distrettuali, un voto che diventa una sorta di referendum di sostegno o rigetto delle proteste sempre più violente nelle ultime settimane. Sono le uniche a suffragio universale.

Per la prima volta, i 452 seggi elettivi, sui 479 totali dei 18 consigli distrettuali, saranno rinnovati interamente. E gli abitanti dell’ex colonia sembrano intenzionati a voler dire la loro: nelle liste elettorali si sono iscritti in 4,13 milioni, il 32% in più rispetto al voto del 2015.

I consigli non hanno grandi poteri: sono fonte di indicazioni per il governo locale, ma esprimono 117 consiglieri nel comitato elettorale di 1.200 persone che seleziona il governatore locale.

Il campo pan-democratico schiera l’ex poliziotta Chaty Yau, dimessasi a luglio per protesta contro i metodi violenti degli agenti. É fuori Joshua Wong, ex leader del “movimento degli ombrelli” del 2014, per le posizioni sulla autodeterminazione della città. Wong, dalle pagine dell’Handelsblatt, ha lanciato un appello all’Europa perché “finora ha fatto troppo poco”.

Il nuovo capo della polizia, Chris Tang, ha detto che non c’è ultimatum agli occupanti del Politecnico e ha assicurato che gli agenti vigileranno sui seggi elettorali in tenuta antisommossa per “assicurare che quelli che vogliono votare lo passano fare in sicurezza senza alcuna interferenza”.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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