Governo trema su Ilva. Di Maio e Franceschini, nuovo patto

Un momento dello sciopero di 24 ore indetto da Fim, Fiom e Uilm nello stabilimento siderurgico di Taranto e negli altri siti del Gruppo ArcelorMittal, Taranto,
Un momento dello sciopero di 24 ore indetto da Fim, Fiom e Uilm nello stabilimento siderurgico di Taranto e negli altri siti del Gruppo ArcelorMittal, Taranto,nel novembre 2019. ANSA/ RENATO INGENITO

ROMA. – Il binario della guerra tra governo e ArcelorMittal è doppio. E duplice è il rischio della crisi per l’esecutivo. In primis c’è il binario del futuro dello stabilimento: una chiusura sarebbe un colpo mortale per l’esecutivo. Il secondo binario è invece prettamente politico e viaggia sul filo di quello “scudo penale” attorno al quale si consuma lo scontro tra M5S e Pd.

E’ uno scontro, al momento, solo verbale, al quale Luigi Di Maio e Dario Franceschini accompagnano già l’ipotesi di un piano B: quello di sedersi attorno a un tavolo, dopo la manovra, per un patto che puntelli programma e esecutivo. Quel tavolo, prima di gennaio, non vedrà la luce. Infatti, come condizione preliminare, i partiti di maggioranza sono chiamati a sotterrare l’ascia di guerra sulla manovra e, soprattutto, sull’ex Ilva.

Non sarà facile. Su ArcelorMittal le posizioni sono rigide. Pd e Italia Viva restano ferme sulla necessità, comunque vada la trattativa, di ripristinare quello scudo che il M5S, sotto la spinta dei ribelli pugliesi, ha tolto dal dl imprese. E’ una posizione nei confronti della quale Di Maio si irrigidisce, sposando la causa “identitaria” cara a gran parte dei parlamentari.

In realtà il capo politico ha poche alternative. Il nodo dello scudo, che ricorda ormai quello della Tav, rischia di far implodere i gruppi in un momento in cui perfino il dissenso sembra non avere una linea comune. Inutile, ragionano nel Movimento, impiccarsi al principio di uno scudo penale che, al momento, non è risolutivo neppure sull’ex Ilva.

Certo, lo stallo sulla trattativa tra il governo e i Mittal potrebbe sbloccarsi da un momento all’altro. E, nel caso lo scudo si rivelasse necessario per salvare lo stabilimento il capo politico metterebbe i suoi parlamentari di fronte ad una scelta decisiva. Tra l’ex Ilva o il governo.

Di Maio fa il punto della situazione con i “suoi” ministri nel pomeriggio, nell’appartamento che, solitamente, ospita i vertici più delicati. Si parla di ex Ilva, ma anche di una rivolta interna ormai permanente. I vertici del Movimento, in un altro momento storico, forse avrebbero fatto scattare la tagliola delle epurazioni.

Di Maio, per ora, opta per la “carota”: accelerare sulla riorganizzazione del Movimento e prospettare, per il 2020, degli stati generali “rifondativi” per i Cinque Stelle. Non è detto che basterà, anche perché ad aumentare la tensione c’è il nodo Regionali: l’ipotesi di un’alleanza con il Pd, almeno per Emilia-Romagna e Calabria, è sepolta.

E’ vivissima, invece, l’idea di non scendere in campo in alcune Regioni. Idea contro la quale si scagliano Danilo Toninelli e Barbara Lezzi. Alla fine sembra difficile che il M5S non scenda in campo in Calabria, dove la prospettiva di una campagna all’insegna del civismo non dispiace ai vertici. Ma in E-R l’ipotesi di una desistenza, nonostante le divisioni interne in atto, è tutt’altro che da escludere.

Il nodo Regionali scuote anche i rapporti Pd-M5S. Sull’Emilia-Romagna Nicola Zingaretti si gioca tutto o quasi. E non vuole arrivare al 26 gennaio con un governo ansimante. “Meno polemiche e più solidarietà”, è l’invito del segretario. Ma è con Franceschini che Di Maio parla, soprattutto. “I rapporti tra loro sono buoni”, confermano nel Movimento dove, invece serpeggia più di un malumore per la strategia di Giuseppe Conte sullo scudo penale. Una strategia giudicata troppo affrettata.

Ma il blitz del premier a Taranto è piaciuto: “ci ha messo la faccia”, sottolinea Di Maio. E per Conte si è tratta di un ulteriore passo dal ruolo di mediatore a quello di federatore.

(di Michele Esposito/ANSA)

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