Conte a Taranto: “Non ho la soluzione”. Avanti con Mittal

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al suo arrivo allo stabilimento ex Ilva di Taranto
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al suo arrivo allo stabilimento ex Ilva di Taranto, 08 novembre 2019. ANSA/INGENITO

ROMA. – Una “soluzione in tasca” per l’ex Ilva ancora non c’è. Alla scadenza delle 48 ore, intimate dal governo ad Arcelor Mittal per tornare sui suoi passi, ad ammettere che servirà ancora tempo è il premier Giuseppe Conte, affrontando l’ira e lo sconforto di operai e cittadini di Taranto davanti ai cancelli dello stabilimento.

L’azienda per ora tace, nonostante il pressing di tutto il governo che è compatto sull’indicare la trattativa con Mittal, per ora, come la strada maestra da percorrere per risolvere la crisi. La giornata è stata segnata dallo sciopero di 24 ore indetto dai sindacati, da Jindal, a capo della vecchia cordata concorrente, che si è definitivamente sfilata e da Moody’s che ha avvisato Mittal del rating a rischio se non si perseguirà, velocemente, la strada dell’addio all’acciaieria italiana.

Ma sulla scena si affaccia, accanto all’estrema ratio della nazionalizzazione, anche l’ipotesi di un nuovo interesse, questa volta dalla Cina, nei confronti del polo siderurgico. Ci sarebbero contatti, solo informali, ma nel carnet delle mosse per uscire dall’empasse, ci sarebbe anche l’idea di indire una nuova gara.

“Non ho la soluzione in tasca, vedremo nei prossimi giorni” ha detto Conte circondato da una folla che, a gran voce, chiede la chiusura dello stabilimento. Solo qualcuno accenna alla possibilità di una riconversione, con il conseguente impiego degli operati per la bonifica. E comunque, senza concedere un nuovo “scudo” penale.

Se servisse a togliere “alibi” a Mittal per giustificare l’abbandono dell’acciaieria, è il ragionamento che si fa nel governo e nella maggioranza in queste ore, si potrebbe anche immaginare di ripristinare una ‘copertura’, estesa e non esclusivamente per il caso dell’ex Ilva.

Ma la questione è bollente, perché rischierebbe di spaccare il Movimento 5 Stelle e di mettere pericolosamente in bilico l’esperienza giallorossa. Tanto che anche Italia Viva, che per prima aveva annunciato un emendamento al decreto fiscale aspetta di vedere come si evolverà la situazione nelle prossime ore.

“La Lega che cura i suoi interessi in borsa presenta un emendamento, ma che lo presentino anche partiti della maggioranza senza un accordo è un problema” dice il leader M5S Luigi Di Maio lanciando un avvertimento al Pd e sferrando allo stesso tempo una stoccata all’ex alleato (“non abbiamo bond di Mittal” sono pronte “querele” la risposta della Lega).

Di Maio resta convinto che sia necessario “obbligare Arcelor Mittal a restare a Taranto”. Chiedere di andare via, attacca il ministro degli Esteri, “è un’azione inaccettabile che non è presupposto per il dialogo. Mettere sulla strada 5.000 persone mi sembra assurdo”. Ora l’azienda, si sta “rimangiando” l’accordo ma non può pensare che “le cambiali le paghi lo Stato”.

Mittal “adempia ai propri impegni, deve sviluppare investimenti, il piano ambientale, il piano industriale che si è impegnata a portare avanti”, dice anche il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, precisando che al momento “questa è la prospettiva del governo”.

Il piano A che per il momento va perseguito fino in fondo, facendo tutto il possibile per sventare un esito drammatico per l’area di Taranto e per il Paese. La nazionalizzazione, insomma, resta sullo sfondo, anche se è lo stesso ministro dello Sviluppo economico, che in questo momento ha in mano la trattativa insieme al premier, ad ammettere che non è più un “tabù”, mentre per il ministro pugliese degli Affari Regionali, Francesco Boccia, l’acciaio resta “strategico” e “se il mercato fallisce non è uno scandalo ma semplicemente giusto che se ne occupi lo Stato”.

Certo, non bisogna dimenticare che un ingresso dello stato potenzialmente sarebbe in contrasto con le regole comunitarie, ma è una strada da percorrere in assenza di un accordo, dice l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina: l’istituto per primo ha accolto la richiesta arrivata dai sindacati, e sostenuta dall’Abi, di sospendere, per un anno, le rate di mutui e prestiti per i lavoratori e i fornitori del gruppo.

(di Silvia Gasparetto/ANSA)

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