Trump esulta, ucciso anche l’erede di al Baghdadi

Abu al Hassan al Muhajir, portavoce dello Stato Islamico. (Al Minara)

WASHINGTON.  – Non solo Abu Bakr al Baghdadi. L’offensiva americana contro i vertici dell’Isis ha fatto un’altra vittima eccellente, quella del portavoce dello Stato islamico Abu al Hassan al Muhajir, considerato di fatto il numero due del Califfo e uno degli eredi alla guida del grupo terroristico.

La notizia, lanciata già domenica dalle milizie curde, è stata confermata da Donald Trump, che può così nuovamente esultare e rafforzare l’immagine di vero Commander in Chief.

Il presidente, nell’annunciare la morte di al Baghdadi, lo aveva detto con forza, respingendo ogni ipotesi di disimpegno Usa in Medio Oriente: non daremo tregua ai leader del terrorismo jihadista, che si tratti dell’Isis o di al Qaida.

E nel giro di poche ore è riuscito a portare a casa due scalpi illustri, come non accadeva da tempo. “Mi hanno appena confermato che il sostituto numero uno di al Baghdadi è stato ucciso dalle truppe americane. Molto probabilmente avrebbe preso il suo posto. Ora anche lui è morto!”, ha scritto il tycoon su Twitter.

Un uno-due micidiale, dunque, per quel che resta del califfato, con i vertici militari e dell’intelligence Usa pronti a concentrarsi sul prossimo obiettivo, la caccia al ricercato numero uno dopo la fine di al Baghdadi: Abdullah Qardash, considerato ora il vero successore del Califfo.

Iracheno, ex 007 del regime di Saddam Hussein, Qardash è stato soprannominato il “Distruttore” per la spietatezza mostrata a Mosul e contro i traditori. Alcuni sostengono sia morto da mesi. Se non lo fosse, anche per lui suona ora un chiaro campanello d’allarme.

Per Abu al Hassan al Muhajir, nome di battaglia, una volta individuato vicino alla località di Jarablus, nella provincia siriana di Aleppo, sulle rive del fiume Eufrate, non c’è stato scampo. Nascosto a bordo di un’autocisterna per il trasporto del petrolio, è stato colpito nel corso di un raid aereo americano.

L’ultima sua apparizione risale allo scorso mese di marzo, quando con una dichiarazione incitava alla rappresaglia per vendicare i 50 musulmani uccisi nell’attentato alla moschea di Christchurch, in Nuova Zelanda, da parte di un suprematista bianco.

Intanto continuano ad emergere nuovi dettagli sul blitz degli uomini della Delta Force che ha portato alla morte di al Baghdadi. Il numero uno dell’Isis sarebbe stato tradito da un brandello della sua biancheria intima, probabilmente le sue mutande, e da un campione di sangue.

Sono questi gli elementi risultati fondamentali per identificarlo prima che scattasse il raid, grazie agli esami del Dna. A trafugarli un combattente delle milizie curde delle Syrian Democratic Forces,  l’informatore che ha poi condotto i soldati Usa nel nascondiglio di al Baghdadi.

Viveva sotto terra il capo del sedicente Stato islamico, nascosto proprio in quella rete di cunicoli che si sono rivelati la sua tomba. Tunnel sotterranei attrezzati con sistemi di ventilazione e illuminazione, e con diversi scaffali per conservare soprattutto libri religiosi, come ha raccontato Mohammad Ali Sajid, il cognato di al Baghdadi, in un’intervista trasmessa in Iraq.

Il Califfo comunicava con flash drive e consentiva a chi lo circondava di usare telefonini cellulari. Quando voleva cambiare postazione, poi, si spostava con due pickup bianchi Toyota accompagnato da cinque uomini di scorta.

Si sentiva al sicuro, forse più che mai dopo l’annuncio del ritiro delle truppe Usa dal nord della Siria. Un calcolo rivelatosi tremendamente sbagliato.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

Lascia un commento