Impeachment: Trump furioso prova a reagire, Hillary nel mirino

Manifestanti chiedono l'impeachment del presidente degli Stati Uniti di fronte al grattacielo "Trump Tower", a New York.
Manifestanti chiedono l'impeachment del presidente degli Stati Uniti di fronte al grattacielo "Trump Tower", a New York. (Prensa Latina)

WASHINGTON.- Alla Casa Bianca è un weekend frenetico, interminabile. Donald Trump si aggira irrequieto nei corridoi, entra da una stanza all’altra della West Wing, fa la spola su e giù tra lo Studio Ovale e gli appartamenti privati, nell’altra ala del palazzo.

La tensione si taglia con il coltello: il presidente è furioso per la piega presa dal caso Ucraina e per il pericolo impeachment oramai reale. Ed è frustrato per la mancanza di una strategia finora efficace per contrastare una situazione che rischia di essere senza ritorno.

Con i democratici decisi a votare la messa in stato di accusa alla Camera entro la fine di novembre, prima della Festa del Ringraziamento del 28. Aprendo così la strada al processo in Senato.

Trump in queste ore ce l’avrebbe soprattutto con il capo dello staff Mick Mulvaney, accusato di aver gestito male la vicenda della telefonata al presidente ucraino Voldymyr Zelensky e giudicato finora incapace di trovare le giuste risposte di fronte al bombardamento di breaking news che stanno mettendo sempre più in difficoltà il tycoon.

E non solo il tycoon, con personaggi del calibro del segretario di Stato Mike Pompeo, del ministro della Giustizia William Barr e del legale personale del tycoon, Rudi Giuliani, sempre più invischiati nell’Ucrainagate. Così nelle ultime ore è stato un susseguirsi di briefing, riunioni ad alta tensione, confronti a muso duro con tutti i principali consiglieri e collaboratori del presidente, per capire qual è la giusta strada da intraprendere.

Trump vuole che alla guerra si risponda con la guerra, dunque un affondo decisivo non solo sull’ex vicepresidente Joe Biden, ma anche contro la sua più acerrima rivale: Hillary Clinton. Ed è il Washington Post a svelare che l’amministrazione già da settimane ha impresso una netta accelerazione alle indagini sulle email che furono spedite all’indirizzo privato di posta elettronica dell’allora segretario di Stato di Barack Obama.

Almeno 130 persone che hanno ricoperto o ricoprono ancora il ruolo di diplomatici e alti funzionari di Foggy Bottom avrebbero ricevuto da agosto una lettera in cui vengono informati che moltissime delle email inviate alla Clinton sono ora sotto esame per possibili violazioni delle norme per la protezione della sicurezza nazionale. Per questo, con una mossa inusuale, sarebbero state retroattivamente secretate, per rendere ogni possibile responsabilità più pesante.

A ricevere la missiva diversi ambasciatori, ex inviati speciali in Europa, Asia e Medio Oriente, nonché moltissimi degli ex collaboratori e assistenti della Clinton. Ma nel mirino ci sarebbero soprattutto William Burns, ex vice segretario, e Jake Sullivan, ex capo politico del Dipartimento di Stato, le persone allora più vicine a Hillary Clinton, a cui venivano mandate le email da portare a conoscenza della ex first lady.

Erano quasi sempre loro, insomma, a inviare tutto al famigerato indirizzo privato del segretario di Stato. L’indagine interna al Dipartimento partì nel 2016, alla fine della presidenza Obama, dopo il polverone dell’emailgate che travolse Hillary Clinton nell’ultima fase della campagna elettorale.

L’ex first lady fu scagionata da ogni responsabilità penale dall’Fbi per l’uso di un server privato, ma Donald Trump non ha mai smesso di attaccarla pesantemente, chiedendone addirittura a gran voce l’arresto durante i comizi o in decine di tweet: “Lock her up!”, arrestatela, è uno degli slogan ancora oggi più gettonati dai supporter dl tycoon.

Intanto si rincorrono addirittura le voci di un ritorno in campo proprio di Hillary, assetata di rivincita per una presidenza che ritiene le sia stata scippata. Che sia fantapolitica o meno lo diranno le prossime settimane, con l’ex first lady che comunque mantiene una popolarità superiore a molti degli attuali candidati dem.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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