ROMA. – Dal crollo di vendite dei giornali alla pervasività della Rete, dalla credibilità alle notizie false, dalle tecnologie che non sono mai neutre alla crisi drammatica dell’industria dei media, fino alla possibilità di certificare come con un “bollino blu” la qualità e l’autorevolezza dell’informazione: sono alcuni dei temi emersi questa mattina nel panel “News: è possibile un marchio di qualità internazionale?”, proposto al 71° Prix Italia, la rassegna internazionale organizzata dalla Rai e in programma a Roma fino al 28 settembre.
Ad aprire i lavori è stato il presidente della tv pubblica Marcello Foa che, sottolineando l’attenzione dell’azienda di viale Mazzini verso il delicato e attualissimo tema delle fake news, ha affermato che “qualità, pluralismo e autorevolezza sono valori fondamentali di una democrazia sana e avvicinano i cittadini al mondo dei media”.
“Servono qualità ed onestà intellettuale, sono valori fondamentali per chi quotidianamente lavora con il mondo dell’informazione”, ha aggiunto Foa, “il confronto costruttivo è essenziale ed è proprio questa la strada da percorrere insieme con gli altri editori, tutti”.
Denso di spunti e riflessioni il dibattito, moderato dal direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano, nel quale sono intervenuti Claudio Cappon (segretario generale della Conferenza Permanente dell’Audiovisivo Mediterraneo – COPEAM), Peter Gomez (direttore de ilfattoquotidiano.it), Olaf Steenfadt (Project Director of Journalism Trust Initiative – JTI) e Andrea Pontini (ad de Il Giornale). Il ruolo centrale dell’informazione di qualità per decifrare un’epoca ricca di conflitti e complessità come quella che stiamo vivendo è il cardine attorno al quale si sono sviluppati tutti gli interventi.
“Chi fa informazione dovrebbe poter aderire in modo volontario a organizzazioni che si diano delle regole per avere una specie di bollino blu; questo è un antidoto alla bassa qualità, insieme con la Rete, la consapevolezza dei cittadini e il fatto di riconoscere che se siamo in crisi è perché i giornalisti hanno una bassa credibilità”, afferma Gomez, convinto che le fake news siano “un problema, ma non quello principale e non è vero che in Rete c’è solo robaccia, perché spesso è proprio lì che vengono corrette le notizie false”.
Se per il direttore de ilfattoquotidiano.it, che si definisce “ottimista” e immagina per il futuro anche la nascita “uno Spotify dell’informazione”, uno dei problemi è anche il mercato italiano troppo piccolo per attirare molti investitori, per Pontini “l’oggetto della transazione tra noi e i lettori è la fiducia: il compito è custodire questo patrimonio”, ammonendo sulla “pericolosità del tema della certificazione” e spostando l’attenzione sul consenso dei lettori, “primo indice di qualità”.
“La disintermediazione tra utenti e professionisti della comunicazione ha avuto effetti drammatici per l’industria dei media. Con il progetto Journalism Trust Initiative, in cui ho un ruolo di sorveglianza e al quale hanno aderito organizzazioni giornalistiche internazionali dalla Russia a Taiwan, e per l’Italia l’Agcom, affrontiamo il tema delle fake news con l’idea di certificare i processi produttivi, non i contenuti”, ha detto Cappon.
“Crediamo che gli indicatori di qualità possano essere identificati, misurati e certificati da una larga platea di professionisti: non ci saranno giudici, ma solo standard e procedure condivise a cui aderire o no”, ha aggiunto, seguito dal direttore del progetto JTI Steenfadt che ha sottolineato da un lato “l’importanza di distinguere le opinioni dai fatti” e dall’altro la necessità di “rendere oggettivi i processi che creano la qualità dell’informazione”.
(di Marzia Apice/ANSA)