Con Rousseau la linea del Colle non cambia, il no porterebbe alle urne

Due Corazzieri, di guardia al Quirinale durante le consultazioni.
Due Corazzieri, di guardia al Quirinale durante le consultazioni. ANSA/ETTORE FERRARI

ROMA. – La consultazione sulla piattaforma Rousseau attiene a logiche politiche interne ai partiti. Che Sergio Mattarella rispetta interamente. Quindi, qualora il voto della base dei Cinque stelle fosse negativo, per il Quirinale non cambierebbe niente rispetto ad una linea già da tempo tracciata.

Un eventuale “no” all’intesa in corso non potrebbe galleggiare nel web. Ci sarebbe certamente bisogno di un ritorno al Colle – del leader Luigi Di Maio? Dei capigruppo M5s? O del premier incaricato? – per una comunicazione che formalizzi senza ambiguità la fine del tentativo guidato da Giuseppe Conte.

Sin dall’inizio di questa crisi estiva il capo dello stato aveva fatto capire che non c’era tempo da perdere e che la crisi sarebbe stata decisa con la massima attenzione ai passaggi costituzionali. Mattarella ha inoltre dettato un’agenda stretta, forse memore degli oltre tre estenuanti mesi che sono serviti per la nascita del governo con la Lega.

Quando le dinamiche politiche si fanno complesse ci pensa il Quirinale a riportare l’ordine semplice dei percorsi formali che garantiscono chiarezza. Si tratta di ragionamenti, è bene premetterlo, al momento del tutto ipotetici visto che almeno i due partiti in campo stanno progredendo nella trattative.

Ma in caso di no dalla piattaforma Rousseau, il capo dello Stato, una volta che gli sarà formalizzato il fallimento del tentativo di formare un esecutivo politico tra Pd e Cinque stelle, procederà alla formazione di un governo di garanzia per portare ordinatamente il Paese alle elezioni anticipate.

Come? Difficile prevederlo con certezza matematica. Improbabile che Mattarella possa mandare comunque il premier incaricato alle Camere, anche perché avvenendo la consultazione su Rousseau già domani, Giuseppe Conte non avrebbe ancora in mano una squadra di governo da spendere in Parlamento.

Molto più realistica questa seconda opzione: il presidente, dopo che Conte gli avrà comunicato che il suo tentativo di formare un governo non è andato a buon fine, potrebbe accettare le dimissioni del presidente incaricato e a strettissimo giro di posta chiamare al Quirinale un nuovo incaricato. Che sarà mandato alle Camere a prendere la sfiducia. Scioglimento delle Camere e voto a novembre.

Ove mai Rousseau formalizzasse la benedizione al governo giallo-rosso rimane chiaro che sui temi fondamentali – come l’ancoraggio dell’Italia all’Europa e la tenuta dei conti pubblici – il presidente della Repubblica vigilerà. La scelta dei ministri spetta al premier incaricato, ma alla fine il presidente deve metterci la propria firma.

Se quindi ancora i nomi dei ministri fioccano sui media, con tutta probabilità Conte avrà già mostrato a Mattarella l’affresco ministeriale anticipando rose di profili per i ministeri chiave, a partire da Economia, Esteri e Interni.

(Di Fabrizio Finzi/ANSA)

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