Johnson sfida l’Ue, nuovo accordo su Brexit o no deal

Johnson esce da casa
Boris Johnson esce dalla sua residenza a Londra. (EPA/ANDY RAIN)

LONDRA. – Secondo lui è l’ottimismo contro il pessimismo, secondo altri la fantasia contro la realtà: Boris Johnson debutta da primo ministro nell’arena dei Comuni, prende di petto gli oppositori “disfattisti” e lancia sulla Brexit la sua sfida o la va o la spacca a Bruxelles.

Il 31 ottobre, ripete tonante, il Regno uscirà dall’Ue. Possibilmente con “un accordo alternativo” a quello raggiunto da Theresa May; se no con un divorzio senz’accordo che giura di “non volere”, ma neppure di temere. E a cui ordina di preparasi come “priorità assoluta”.

Il proclama, accompagnato dal sospetto che Johnson si stia in effetti predisponendo alla scommessa di elezioni anticipate, rimbalza nei palazzi europei non inatteso. Eppure quasi come una dichiarazione di guerra. Il capo negoziatore Michel Barnier ne parla in una riunione a porte chiuse come di “un discorso bellicoso”, rivelano subito le solite gole profonde.

Il dado in ogni modo è tratto. Il nuovo premier Tory intende giocarsi tutto in 98 giorni, da qui a fine ottobre, libero da domani al 3 settembre anche da qualunque condizionamento parlamentare grazie alla lunga pausa estiva scattata stasera.

“Oggi è il primo giorno di un nuovo approccio”, l’inizio d’un cammino verso “un’età dell’oro”, gigioneggia. Il voto popolare del referendum del 2016 va rispettato, spiega, e la Brexit ora va attuata “in qualunque circostanza”, taglia corto.

“Preferisco di molto un accordo”, assicura, per poi puntualizzare tuttavia che l’accordo May – pilastro immodificabile stando al verbo di Bruxelles – per lui è morto e sepolto. Bocciato già tre volte a Westminster, “è inaccettabile a questo Parlamento e a questo Paese”.

“L’alternativa”, nelle sue parole, è un’intesa depurata innanzi tutto dalla contestata clausola vincolante di garanzia del backstop sul confine aperto fra Irlanda e Irlanda del Nord.

Obiettivo che, martella, può essere ugualmente conseguito tramite imprecisati strumenti tecnologici. Ma Barnier reagisce facendo sapere – a margine di una prima telefonata con Boris in cui il presidente uscente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ribadisce il medesimo messaggio – che a essere “inaccettabile” è semmai la pretesa del nuovo inquilino di Downing Street di cancellare il backstop.

Per dimostrare che fa sul serio, e provare a lasciare il cerino in mano “agli amici e partner europei”, Johnson lascia d’altronde il no deal sul tavolo in tutta evidenza. Si tratti di un bluff o meno. I preparativi vengono affidati a Michael Gove: uno dei vice della sua squadra di governo, nata dalla “purga politica più brutale della storia moderna” britannica, a leggere il Times.

Una squadra di “estrema destra”, denuncia il Labour, animata da un nucleo di ministri di peso in fama consolidata di falchi e ultra brexiteer che include – fra i tanti – il ministro degli Esteri, Dominic Raab, quella degli Interni, Priti Patel (in passato favorevole alla pena di morte), quello dei Rapporti con il Parlamento, Jacob Rees-Mogg.

Le opposizioni alla Camera si mostrano furiose, soddisfatte solo dall’impegno del premier (per ora verbale) sulla tutela “assoluta” dei diritti attuali dei 3,2 milioni di cittadini Ue residenti sull’isola, inclusi 6-700.000 italiani, anche in caso di no deal e a prescindere dalla reciprocità.

Il capo laborista Jeremy Corbyn parla per il resto di “percorso sconsiderato verso una hard Brexit”, oltre a scontrarsi – in un botta e risposta in cui Boris replica per le rime – sulla credibilità delle promesse che il successore della May non cessa di enumerare pure sul fronte interno, evocando investimenti a pioggia: dalla sicurezza al welfare, dall’istruzione alla sanità, alla politica económica in genere.

Fra gli osservatori, c’è chi pensa d’altro canto che non si tratti tanto di un programma di governo, quanto di un manifesto elettorale. L’eventuale mozione di sfiducia parlamentare è però rinviata a dopo la pausa, nella speranza che nel frattempo maturino le contraddizioni del dissenso Tory.

Quando potrebbe essere tardi, in termini di tempi tecnici, per fermare il treno d’un no deal di default. Ossia il traguardo che molti sospettano Johnson voglia attraversare prima di un voto anticipato nel quale un patto elettorale con il Brexit Party di Nigel Farage potrebbe rivelarsi – sistema maggioritario britannico alla mano – garanzia di vittoria.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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