Hong Kong, picchiatori legati alla mafia contro le proteste

Scontri as Hong Kong
Un manifestante calcia un gas lacrimogeno durante gli contri a Hong Kong di domenica scorsa (Ming Ko/AP)

PECHINO. – Irrompono anche i picchiatori legati alle Triadi, la mafia cinese, nelle proteste di Hong Kong partite a giugno contro la legge sulle estradizioni in Cina.

Un nuovo shock per l’ex colonia britannica sono state le immagini filmate in diretta da Stand News di una feroce caccia all’uomo di un’ora alla stazione della metropolitana di Yuen Long, dove una gang di diverse decine di uomini in maglia bianca, bastoni e spranghe è sembrata andare alla ricerca delle persone vestite di nero di ritorno dalla marcia di Civil Human Rights Front.

Sono 45 i feriti degli attacchi, di cui uno in condizioni gravi, hanno denunciato gli attivisti pro-democrazia, motivando il blitz come “un tentativo di creare terrore”.

Un parlamentare del Partito Democratico, Lam Cheuk-ting, colpito alla bocca e alla testa, ha raccontato di “uomini, fino a un centinaio, tutti armati. Ognuno nella stazione, tra quelli davanti alle macchine dei biglietti o sugli scalini dei binari, è diventato all’improvviso un bersaglio”. Gli scontri sono proseguiti fino al tardivo arrivo della polizia. “E’ irritante che gli agenti non abbiano cercato di portare la situazione sotto controllo”, ha detto Lam.

Yau Nai-keung, vice responsabile di polizia del distretto di Yuen Long, ha riferito ai media che gli agenti sono giunti sul posto senza vedere persone in possesso di armi, anche improprie. “Gli arresti non potevano essere fatti solo in base al colore dei vestiti”, ha spiegato l’ufficiale, declassando l’episodio al rango di “zuffa” tra gruppi con idee politiche diverse.

“Si vuol far credere che Yuen Long è una zona indipendente di Hong Kong senza legge?”, ha rincarato Alvin Yeung, parlamentare del Partito Civico, accusando a muso duro la polizia. “Sono gangster delle Triadi all’attacco della gente di Hong Kong e voi chiamate l’episodio una zuffa?”

Condanna è stata espressa anche dal fronte dei parlamentari pro-establishment, ma assieme a una reprimenda contro l’assalto alla sede della rappresentanza di Pechino a Hong Kong, bersagliata da uova e palloncini pieni di inchiostro, mentre i grffiti sui muri hanno rilanciato gli appelli alla “libertà”.

“Una sfida alla sovranità nazionale”, è stato definito l’assedio dalla governatrice dell’ex colonia britannica Carrie Lam che, in una conferenza stampa, si è detta scioccata per i fatti di Yuen Long. “La violenza non è la soluzione ai problema e chiama altra violenza. Faremo le dovute indagini”.

Il capo della polizia Stephen Lo ha ammesso che gli agenti accorsi alla stazione erano pochi e male equipaggiati, rigettando però ogni accusa di “collaborazione” con le Triadi.

I disordini delle ultime settimane di Hong Kong hanno causato nuovi timori e lo scontro tra manifestanti e governo locale sembra andare verso una ulteriore escalation senza soluzioni in vista.

Ieri, la protesta è arrivata alla soglia del Partito comunista cinese: di fronte all’emblema nazionale di Pechino imbrattato, il Quotidiano del popolo, voce del Pcc, ha ricordato che “l’autorità centrale non può essere sfidata”, facendo capire che è stato messo a dura prova l’accordo sull’autonomia dell’ex colonia. Non ci sono opzioni facili, ma su una cosa la Cina non negozierà mai: la sua sovranità sull’isola.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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