Salvini riflette e avverte Conte: “Non tengo la Lega”

Sventolano le bandiere della Lega
Sventolano le bandiere della Lega

ROMA. – “Giuseppe Conte fa il Cinque stelle ma così tiene aperta la possibilità di una crisi di governo”. Sono di fuoco le parole, in casa leghista. La crisi “oggi non c’è” e Matteo Salvini fa capire di non volerla aprire. Ma il partito ribolle: dalla Gronda di Genova allo stop all’autonomia scolastica, sono arrivati “segnali pessimi”. Il partito del voto nella Lega è largamente maggioritario.

Il leader leghista non esclude niente ma prende tempo. Nota un cambio di atteggiamento di Luigi Di Maio con il quale sta tentando di ritrovare sintonia. Vedrà lui e Conte nei prossimi giorni, a Roma. Chiederà un cambio di passo (bandita la parola “rimpasto”) in alcuni ministeri. Ma l’argine potrebbe non più tenere, la voglia di voto dei leghisti straripa: il premier Conte è avvertito.

C’era quasi euforia tra le fila leghiste, giovedì sera, quando la rottura era nell’aria. Poi, dal palco di un comizio a Lecco, Salvini ha frenato gli ardori: se vado al Quirinale – avrebbe detto non escludendo un incontro con Mattarella – non è detto che apra la crisi. Tra la quasi rottura e il tentativo di conciliazione, secondo fonti di maggioranza, ci sarebbe stata una telefonata – la Lega smentisce – del presidente Sergio Mattarella a Salvini e la salita di Giancarlo Giorgetti al Colle.

Il capo dello Stato avrebbe spiegato al sottosegretario, che ha riferito al vicepremier, quale sarebbe l’iter di un’eventuale crisi. Salvini si sarebbe preso ancora tempo. I leghisti assicurano che l’esito della riflessione non è scritto: il segretario raccoglierà i “segnali” di Conte e Di Maio e farà la sua sintesi. E aggiungono che non si farà influenzare dal fatto che si stia chiudendo la finestra per il voto a settembre. Anche se tra i parlamentari si rincorre il timore che rompere più in là potrebbe aprire la via a un Conte bis sostenuto dai “responsabili” M5s-Pd per fare la manovra. Di più: c’è chi teme che l’accerchiamento derivante dal caso dei presunti fondi russi continui, nonostante Salvini continui a liquidare la vicenda.

Il vicepremier mercoledì sarà in Senato al fianco di Conte, ma all’opposizione non basterà. “Di quelli lì non ci si può fidare”, dice un leghista dei Cinque stelle. Ma il clima, aggiungono i più, è “surreale”: ai tavoli di governo e parlamento ci si parla, fuori no. Più che la crisi, l’esito dello scontro in atto potrebbe essere un rimpasto “vero”, pesante. Salvini, che non si fa vedere in pubblico e per tutta la giornata parla solo via social, con una nota nega: nessuna caccia alle poltrone. Ma che il rimpasto poi si farà, è convinzione diffusa tra M5s e leghisti.

Prima c’è da sciogliere il nodo del commissario europeo. Da Bruxelles arriva il messaggio che se fosse una donna, l’Italia potrebbe avere la Concorrenza. E in molti fanno il nome della Giulia Bongiorno. Giorgetti, che viene descritto seccato dalla situazione in cui si è venuto a trovare, era l’unico nome già ponderato e condiviso nel governo.

Che ora il posto vada alla Lega non è più scontato, anche perché secondo alcuni leghisti Salvini farebbe meglio a rinunciare e tenersi mani libere. Ecco perché accanto al nome della Bongiorno, iniziano a circolare ‘tecnici’ (non leghisti) come l’economista Mariana Mazzucato o la diplomatica Elisabetta Belloni. Quanto al governo, nel mirino ci sono Danilo Toninelli, con Elisabetta Trenta e Sergio Costa.

“Ma il problema sono i temi: se al posto di Toninelli mettono Stefano Patuanelli e lui dice ancora no, che cambia?”, dicono dalla Lega. Il problema, aggiungono, è che c’è un “blocco e Conte lo difende”. “La Gronda nel nord-ovest è come la Tav, lo stop è gravissimo: io qui ci vivo…”, lamenta un dirigente leghista. Sull’Autonomia l’offensiva di Zaia e Fontana è durissima.

E qui si torna a Conte: il clima in giornata era tutto sommato positivo, ammettono anche i leghisti, al tavolo sull’Autonomia si è riso e scherzato. Ma al dunque, il premier ha “seguito la linea Di Maio” e stoppato le richieste sulla scuola. Ecco perché Salvini viene descritto irritato col premier: deve essere lui a firmare le intese con le Regioni, se saltano – è il ragionamento – se ne assumerà lui la responsabilità.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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