Ponte Genova: demolito in sei secondi, addio al Morandi

Vista della demolizione dei piloni 10 e 11 del Ponte Morandi a Genova.
Vista della demolizione dei piloni 10 e 11 del Ponte Morandi a Genova. ANSA/LUCA ZENNARO

GENOVA. – Ci sono voluti poco meno di sei secondi in tutto. Poi, in una nuvola sporca di fango e detriti, le pile 10 e 11 ancora intatte del Ponte Morandi si sono inginocchiate alla potenza di una tonnellata di esplosivo e sono scomparse nel nulla. Sei secondi ed è fatta, sotto gli occhi dei ministri dell’Interno Salvini, del Lavoro Di Maio e della Difesa Trenta, accompagnati dal governatore Toti e da un emozionato e stanchissimo sindaco-Commissario Bucci, sotto lo sguardo di decine di telecamere e centinaia di genovesi accorsi a vedere un’esecuzione annunciata: la morte per distruzione di quella che più di ogni altra cosa ha segnato un punto di non ritorno per la città di Genova.

Ore 9.35: in ritardo rispetto alla tabella di marcia, nella cabina di regia dentro la galleria sulle colline della Valpolcevera, l’esplosivista Danilo Coppe segnala via radio a Vittorio Omini, responsabile e capofila dell’ati dei demolitori, che è iniziato il lancio di acqua. Un segnale preciso, che ha un solo significato: tutto è pronto per l’esplosione. Dopo 60 secondi, la radio di Omini gracchia ancora. Ci siamo: si sente la voce di Coppe che inizia il conto alla rovescia. Cinque, quattro, tre… fuoco.

In gergo, quello che Coppe fa nella penombra della galleria è ‘sparare’. La “vecchia e fedele” dinamite, come la chiama Coppe, addizionata alla potenza arrogante del semtex, sbriciola il Morandi. Le polveri vengono inghiottite da una bolla d’acqua.

Sono le 9.37: è finita. La partita si è giocata su piani diversi: il ricordo del 14 agosto 2018, le lacrime per i 43 morti, la routine strappata degli sfollati e dall’altra il futuro che adesso si può vedere meglio. “Il ponte Morandi da oggi è un ricordo, con l’implosione il cantiere entra nel vivo, da domani si vedrà la trave sul primo pilastro del nuovo ponte di cui stiamo gettando le fondamenta” ha detto Toti. “E’ andato tutto secondo programma” gli fa eco Marco Bucci. Genova ha vissuto la sua più lunga giornata preparandosi all’evento con meticolosa puntigliosità.

E’ stato messo in atto uno dei più imponenti piani di sicurezza che, a memoria, si ricordino: oltre 3.200 sfollati, quasi 800 uomini delle forze dell’ordine impegnati, centinaia di volontari di protezione civile, viabilità bloccata ma senza criticità anche sull’autostrada.

In questo tourbillon, c’è spazio anche per il sorriso. Come quello che scatena la vicina chiacchierona che dice alla protezione civile che un anziano solo e sordo non avrebbe abbandonato la casa, mentre invece era già in villeggiatura con i figli, impegnando i volontari per lunghi minuti e facendo slittare l’inizio delle operazioni. O come i due cittadini nigeriani che non parlando italiano se ne stavano tranquilli nella loro abitazione a un passo dal ponte fino a quando la polizia non li ha scovati e fatti uscire.

Storie. Storie che s’intrecciano con quelle di Giovanni, che a 61 anni vede morire il suo ‘ponte di Brooklyn’ alla cui ombra giocava quando era bambino e che non riesce a staccare gli occhi da quel ‘vuoto’ che si è creato dopo l’esplosione. Storie come quelle delle decine di persone che come moderne tricoteuse hanno voluto assistere alla morte annunciata del ponte schierati sulla terrazza-parcheggio di un grande magazzino.

No, il Morandi non era invincibile: è stato sbagliato, crudele e assassino ma invincibile no. Adesso restano da abbattere la pila 3, incassata nella collina, la pila 6 che viene tagliata a pezzi e la pila 8 all’ombra della quale sta nascendo il primo pilone del nuovo ponte: che “per ora – ha detto Bucci – chiameremo Ponte per Genova”. Poi, perché c’è un futuro tutto da decidere, si vedrà.

(di Chiara Carenini/ANSA)

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