Brexit, fallito il negoziato Tory e Labour. May nei guai

Manifestazione a Londra a favore di un ritorno all'Ue. Brexit
Manifestazione a Londra a favore di un ritorno all'Ue. (ANSA)

LONDRA. – Un naufragio annunciato da molti ma che ora rischia di affondare definitivamente, nel giro di poche settimane, anche Theresa May. E’ rottura nel negoziato fra il governo Tory e l’opposizione laburista avviato in extremis, 6 settimane fa, in Gran Bretagna, alla ricerca d’un compromesso parlamentare trasversale sulla Brexit. A decretare il suono del gong è stato oggi il leader del Labour, Jeremy Corbyn.

Anche sullo sfondo del moltiplicarsi di sondaggi sempre più cupi per i due storici partiti maggiori in vista delle elezioni Europee a cui il Regno – in assenza di ratifica a Westminster dell’uscita dell’Ue – parteciperà un po’ da intruso il 23 maggio.

In una lettera indirizzata alla “cara Primo Ministro”, Corbyn ha chiamato in causa “la debolezza e l’instabilità del governo” quale fattore cruciale del fallimento, sottolineando come l’impegno imposto dal dissenso interno alla May di offrire almeno una data precisa delle sue dimissioni a giugno rappresentasse di fatto un macigno sulla credibilità della trattativa: con vari ministri ormai già “in corsa per la successione” e pronti a sconfessare il giorno dopo “le proposte che il suo team negoziale portava al tavolo” dei colloqui; e con la convinzione in seno al partito laburista che una qualunque intesa, quand’anche raggiunta, avrebbe potuto finire con l’essere stracciata da una futura leadership Tory. Leadership a cui ambisce in primis il falco Boris Johnson.

La premier ha risposto a stretto giro mascherando a fatica la delusione, ma comunque rovesciando la responsabilità dello scacco sulle contraddizioni del partito di Corbyn: diviso “fra chi – ha detto – vuole attuare la Brexit e chi vorrebbe tenere un secondo referendum che potrebbe rovesciarla”. Un portavoce di Downing Street è poi arrivato a indicare una sorta di via di mezzo. Evocando come insuperabili “in particolare le diversità di posizione fra le parti” tanto sulla disponibilità a prendere almeno in considerazione un referendum bis (rivendicato a spada tratta da una buona parte del Labour, considerato inaccettabile dalla May), quanto sulla permanenza di Londra “nell’unione doganale” (vitale per Corbyn e il suo governo ombra, soggetta a veti pesantissimi fra i Conservatori).

Sia come sia, a questo punto non resta che la nebbia dell’incertezza sul cammino del divorzio da Bruxelles. Una partita che si potrebbe riaprire in ogni direzione – da quella di un taglio netto ‘no deal’ a quella d’una rivincita referendaria o d’un voto politico anticipato – se, come tutto lascia presagire, il tentativo della premier di riproporre la questione in Parlamento a iniziare dal 3 giugno, con la presentazione d’una legge attuativa del “recesso dall’Ue”, dovesse sfociare nella quarta bocciatura di fila. Un esito che potrebbe rendere immediato il passo indietro di lady Theresa.

I contendenti, del resto, sono al momento in piena polemica elettorale per le Europee. La premier ha tenuto il suo primo, dimesso comizio a Bristol quasi implorando l’elettorato a votare il suo partito come unico garante concreto della Brexit. Mentre Corbyn ha parlato a Londra indicando la necessità di dar forza al Labour contro “l’ascesa dell’ultradestra”. Il riferimento è al Brexit Party di Nigel Farage, che gongola nella situazione d’impasse, irride l’impotenza dei big e tocca nell’ultimo sondaggio YouGov un consenso record (potenziale) del 35%.

In un panorama assai specifico, condizionato anche dalla tradizionale partecipazione minoritaria dei britannici alle consultazioni per il rinnovo dell’assemblea di Strasburgo, in cui Laburisti e Conservatori precipitano rispettivamente al 15 e addirittura al 9%, scavalcati rispettivamente dai vecchi LibDem (19%) e dai Verdi (10), le due formazioni che più s’avvantaggiano del muro contro muro nel fronte non unitario dei pro Remain senza se e senza ma. Mentre nel nord tornano a crescere gli indipendentisti scozzesi dell’Snp della first minister Nicola Sturgeon, convinta che a questo punto “la Scozia abbia una chance reale di restare nell’Ue”: e soprattutto di uscire dal Regno Unito.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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