Rotto il patto, Salvini pronto alla crisi su Tav e tasse

Rottura: I due vicepremier: Luigi Di Maio e Matteo Salvini. M5s e Lega. Roma
I due vicepremier: Luigi Di Maio e Matteo Salvini

ROMA. – E’ rotta l’intesa umana, prima ancora che quella politica. Matteo Salvini lo certifica di primo mattino, riunendo i ministri leghisti nell’ufficio di Giancarlo Giorgetti a Palazzo Chigi. Luigi Di Maio è poche stanze più in là, ma i vicepremier non si parlano. Non più. Gli altri ministri notano che i due non si rivolgono la parola neanche in una pausa del Consiglio dei ministri.

A venti giorni dalle europee e in nome di un sottosegretario dimissionato, non si può far saltare il governo. Ma nel giorno della prima netta sconfitta dopo un anno, Salvini promette ai suoi che d’ora in poi sconti non ne farà più. I cantieri, la Tav, le autonomie, la flat tax si devono fare. Se così non sarà, se ne trarranno le conseguenze.

E’ Di Maio il primo a essere convinto che la Lega d’ora in poi coglierà ogni pretesto per rompere. Sembra testimoniarlo un messaggio inviato dal vicepremier nella chat dei ministri M5s: attenti al decreto sblocca cantieri – sarebbe il tenore del messaggio – perché i leghisti potrebbero cercare l’incidente. Il testo è al Senato, alla Camera c’è il decreto crescita, con dentro la contestata (da Salvini) norma “Sblocca Roma”.

E poi nel carniere ci sono le Autonomie regionali (Erika Stefani in serata incontra il premier Conte, ma un’intesa nel governo non sembra vicina). La flat tax, sulla quale Di Maio prova a prendere in contropiede Salvini annunciando un tavolo in cui si parli anche di salario minimo. E, naturalmente, la Tav. Che in Piemonte vinca o perda (ma ci sarebbe ottimismo per i sondaggi), la Lega pretende il Sì all’opera: termine ultimo per decidere, la scadenza dei bandi, a inizio settembre.

Se la Lega supererà davvero il 30% alle europee, non ci sarà contratto di governo che tiene: Salvini – dicono i leghisti – ha le mani libere. Se M5s gli dirà dei Sì bene, sennò la crisi non è esclusa e non sono escluse elezioni a settembre o ottobre. In casa Cinque stelle, nel giorno della vittoria su Siri, si ostenta tranquillità: se rompe, Salvini dovrà spiegarlo agli italiani. Ma i leghisti ribaltano il discorso: se Di Maio dirà ancora No, sarà lui di fatto a rompere.

Oggi il ministro dell’Interno, scuro in volto e assai irritato, incassa il colpo su Siri. Ma invita i suoi ministri a non cedere a provocazioni in Cdm. Bisogna guardare all’obiettivo delle europee: i conti si faranno dopo. Ma in transatlantico c’è chi tra i leghisti paventa contraccolpi nelle urne e, sommando l’indagine su Fontana all’inchiesta su Siri paventa un asse M5s-magistrati.

Di Maio ora crede nella rimonta. Per allargare il suo campo di gioco, mentre alza il vessillo della giustizia, il leader M5s rimprovera la Raggi sulla visita alla famiglia Rom che ha avuto una casa popolare a Roma. Ma sia in casa Lega che nel Movimento si tracciano scenari per il dopo. Dalla ipotesi “minima” del rimpasto, fino alla caduta di Conte, in caso di rottura totale. Si fa l’ipotesi di un governo istituzionale, che faccia la prossima difficilissima legge di bilancio. Ma in pochi ci scommettono. Prende più quota l’idea delle urne. In estate è difficile ma – questo è il ragionamento – si può votare a settembre o ottobre. La manovra – in questa ipotesi – si farebbe dopo.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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