Terrorismo rischio concreto, deradicalizzazione priorità

Terrorismo: i bambini soldati del Califfato
Terrorismo: i bambini soldati del Califfato (photo credit: www.vocativ.com)

ROMA. – Un post su facebook, una convinzione che si irrigidisce, una barba che cresce, un look che cambia. Possibili segnali di radicalizzazione da intercettare prima che sia troppo tardi. Prima che inneschi l’attacco terroristico. E’ la grande scommessa delle intelligence mondiali alle prese con una minaccia jihadista “concreta e attuale” nonostante la sconfitta territoriale dell’Isis, come ha detto il direttore del Dis, Gennaro Vecchione, introducendo i lavori della conferenza Bridge (Bringing radicalized individuals to disengage), che ha riunito a Villa Madama delegazioni di 40 Paesi di Ue, area mediterranea, Usa e Israele. Presente anche un’esponente di Google per illustrare la strategia contro l’estremismo sul web.

Se l’Italia non è stata ancora colpita, ha fatto notare Vecchione, è perché non ha una consistente presenza di stranieri di “seconda e terza generazione” come Francia ed Inghilterra ed anche per “un’immigrazione ordinata e controllata che ha consentito di evitare la creazione di zone di disagio nelle città, tipo le banlieue francesi, che sono una precondizione per la radicalizzazione”. Ma, ha aggiunto, “il rischio zero non esiste e la sensazione diffusa è che il pericolo può mimetizzarsi e può annidarsi ovunque. Pertanto le forze di sicurezza stanno intensificando il loro impegno e mantengono altissima la guardia”.

Nella strategia degli 007 riveste grande importanza la radicalizzazione, che “va prevenuta ed intercettata nella sua fase iniziale. E’ fondamentale essere tempestivi, volgere lo sguardo non solo a quel che accade, ma a quel che potrebbe accadere”. Ed occhio alle “donne radicalizzate, che sono una seria minaccia. Ma possono essere portate in prima linea nello sforzo per la deradicalizzazione e diventare fattore chiave per la prevenzione”.

Il ruolo delle donne è stato sottolineato anche da Farhad Khosrokhavar, direttore dell’Osservatorio sulla radicalizzazione della Maison des sciences de l’homme di Parigi. Prima dell’avvento dell’Isis, ha rilevato, “si contavano in Europa circa 15 donne jihadiste; dal 2013 oltre 500 sono andate a combattere in Siria ed Iraq”.

E sono proprio i foreign fighter di ritorno a preoccupare. Si tratta, ha evidenziato Vecchione, “di soggetti addestrati sul campo ed animati da sentimenti di vendetta”. Da parte sua, Gilles de Kerchove, coordinatore contro-terrorismo dell’Ue, ha segnalato che nei campi degli ex territori dell’Isis ci sono “45mila bambini senza identità che sono vere e proprie bombe ad orologeria e possono diventare una generazione di attentatori suicidi”. Un’ulteriore conferma della necessità di “cogliere il prima possibile i segnali di radicalizzazione. C’è bisogno di una presenza nelle scuole, nelle carceri, nei centri sportivi”.

In questo campo l’Italia ha esperienze positive da condividere come quella del camionista barese convertito all’Islam Alfredo Santamato. “L’uomo – ha spiegato Vecchione – ha seguito volontariamente un processo di riconciliazione con il mondo civile per non perdere il contatto con i propri figli”.

Il percorso di deradicalizzazione, coordinato dalla professoressa Laura Sabrina Martucci dell’Università di Bari, è durato due anni ed ora è prossimo alla conclusione. Claudio Galzerano, direttore del Servizio per il contrasto dell’estremismo e del terrorismo dell’Ucigos, ha auspicato una normativa sulla prevenzione della radicalizzazione. “Sarebbe – ha osservato – un salto culturale di assoluto rilievo e, allo stesso tempo, un passo avanti importante per la sicurezza”.

(di Massimo Nesticò/ANSA)

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