Italia: debito, privatizzazioni, deficit, conti sul filo

Il vice presidente del Consiglio e ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro e delle Politiche Sociali, Luigi Di Maio (S) con Giovanni Tria, ministro dellEconomia e delle Finanze.
Il vice presidente del Consiglio e ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro e delle Politiche Sociali, Luigi Di Maio (S) con Giovanni Tria, ministro dellEconomia e delle Finanze. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

ROMA. – Una crescita attesa sotto l’1% fino al 2022. E un’impalcatura dei conti pubblici che, nelle attese del governo, dovrebbe reggere al vaglio dell’Europa grazie alla clausola degli eventi eccezionali, ma che di fatto poggia anche su una revisione contabile dell’Istat che ha alzato il deficit 2018. L’approvazione del Def apre i giochi della manovra 2020.

Che si preannuncia una difficilissima caccia alle risorse, fra una spending review che non c’è, obiettivi ambiziosi di privatizzazioni e con il macigno della clausola che prevede 23 miliardi dall’aumento dell’Iva: una stretta fiscale promessa all’Europa e rinviata per anni che infine arriva al pettine, e per la prima volta senza l’impegno esplicito di un documento ufficiale del governo a ‘disinnescarla’. Proprio mentre i partiti spingono per la ‘flat tax’.

Nei palazzi romani si fa conto sulle elezioni europee e sul rinnovo della Commissione Ue, che di fatto taglia le unghie all’esecutivo uscente a Bruxelles. Ed è un fatto che l’Ue abbia abbassato il tiro sull’Italia, dopo l’accordo di dicembre con cui il governo riuscì ad evitare in extremis una procedura per violazione della regola del debito. Resta un punto interrogativo sull’atteggiamento che l’Europa terrà a elezioni concluse: la Commissione uscente resta in carica fino all’autunno, e non si può escludere che prima o poi tornino i nodi messi da parte, nel pre-voto, per non offrire il destro a chi descrive un’Italia assediata dall’austerity.

Sul piano tecnico, il Def schiera le sue pedine. Il debito pubblico, che negli accordi di dicembre con l’Ue quest’anno doveva scendere al 130,7% del Pil, corre al 132,6% del Pil dal 132,2% del 2018. Ma – si legge nel documento – “la sostanziale compliance del programma di finanza pubblica” costituirà “un fattore rilevante per la valutazione dell’osservanza della regola del debito da parte dell’Italia, che la Commissione Europea dovrà effettuare sulla base del consuntivo 2018”.

Nel Def, infatti, sulle base delle revisioni Istat e di una rettifica del Pil potenziale e dell’output gap a seguito della “inattesa e drastica revisione” della crescita futura, il Tesoro ha alzato all’1,4% il deficit strutturale dello scorso anno (era all’1,1% nell’Aggiornamento del quadro macroeconomico di dicembre). Il peggioramento atteso dal Def per quel parametro cui la Ue presta molta attenzione risulta così di appena 0,1 punti di Pil, a 1,5%. Il governo si era impegnato a conseguire una variazione nulla.

Ma la Ue ha accordato all’Italia uno 0,18% di Pil di spese per eventi eccezionali (dissesto idrogeologico, messa in sicurezza di ponti e viadotti) che, dedotto dall’aggiustamento strutturale di 0,25 punti percentuali richiesto ‘da matrice’ Ue, si ridurrebbe a 0,07, rispetto a cui la deviazione derivante dallo 0,1 messo sul Def “risulterebbe non significativa”. Una partita che si gioca sui decimali, sul filo di lana.

Con i saldi tendenziali del Def che per quest’anno puntano su un punto di Pil (circa 17,5 miliardi) da privatizzazioni che, finora, sono rimaste lettera morta. E dal 2020 fanno conto sui 23,1 miliardi di maggiori Iva e accise. La corsa a sterilizzare quella stretta è tutta in salita. E’ lo stesso Def a certificare che persino una ‘spending review’ da un miliardo messa in programma si è arenata su capitoli di spesa che vanno dal “vettovagliamento” della Polizia alle spese per interpretariato all’Ue, dalle bollette elettriche dei Carabinieri ai contributi ai “servizi di linea fra lo scalo di Crotone e i principali aeroporti nazionali”.

Trovare le coperture per non aumentare l’Iva, mentre al contempo i partiti puntano sulla flat tax e altre misure espansive, sarà una sfida enorme. E non a caso per la prima volta nel Def non c’è l’impegno solenne a scongiurare quell’aumento. Anche l’attivazione della clausola di salvaguardia che permette di ‘congelare’ due miliardi di spesa potrebbe essere un nodo politicamente incandescente.

In un contesto di crescita appesa a fattori esterni come la guerra dei dazi e Brexit, con l’incognita dello spread e le banche molto deboli, e con lo stesso Def che prevede 0,2% per quest’anno e uno 0,8% negli anni 2020-2022, basta poco per scompaginare i piani del Def. Un deficit nominale che dal 2,4% preventivato quest’anno si avvicinasse al 3% riaccenderebbe il faro della Ue. Un debito la cui traiettoria andasse verso il 140% del Pil, come prevede il Fmi, renderebbe un intervento ineludibile.

(di Domenico Conti/ANSA)

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