Le dimissioni di Zarif spaccano l’Iran, rischi intesa nucleare

Il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif
Il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif .(ANSA/AP Photo/Kerstin Joensson)

ISTANBUL. – Le dimissioni di Javad Zarif spaccano l’Iran. Nella tarda serata di ieri, il ministro degli Esteri artefice dell’accordo sul nucleare aveva annunciato il passo indietro a sorpresa con un post sul suo profilo Instagram. Ma a 24 ore di distanza, il presidente Hassan Rohani non ha ancora sciolto la riserva sul futuro del diplomatico, legato a doppio filo con quello della politica estera di Teheran, stretta tra gli sforzi del governo moderato di salvare l’intesa del 2015 e il dialogo con l’Occidente e le pressioni degli ultra-conservatori per abbandonarli e tornare a uno scontro frontale.

“Tutte le interpretazioni e le analisi sulle ragioni dietro i motivi delle dimissioni” diffuse finora “non sono accurate, e, come ha detto il capo di gabinetto del presidente dell’Iran, le dimissioni non sono state accettate”, ha spiegato il portavoce del ministero degli Esteri, Bahram Ghasemi. Rohani ha difeso pubblicamente l’operato di Zarif, senza fare però riferimenti espliciti alle dimissioni: “Oggi – ha detto – la prima linea contro gli Stati Uniti sono i ministeri degli Esteri e del Petrolio, insieme alla Banca Centrale”.

Un braccio di ferro in cui sarà decisiva la posizione della Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. Secondo i media locali, il primo vicepresidente Eshagh Jahangiri ha chiamato Zarif per convincerlo a tornare sui suoi passi. A sostegno del diplomatico si è schierata anche la maggioranza dei parlamentari iraniani. E sui social media, spopola in queste ore un hashtag in farsi che lo invita a restare.

“Non possiamo lasciare il Paese in mano a 10 o 20 persone, perché il Paese è della nazione”, ha detto ancora Rohani, rendendo esplicite le accuse agli ultra-conservatori. A spingere Zarif a lasciare è stata la clamorosa esclusione dagli incontri a Teheran con Bashar al Assad, nel primo viaggio all’estero del presidente siriano – Russia a parte – dall’inizio della guerra civile.

Una visita “non diplomatica”, ha tenuto a riferire Rohani. Ma oltre al presidente e alla Guida suprema, Assad ha incontrato anche il generale Qassem Soleimani, capo delle Brigate al Qods dei Pasdaran, i falchi che a Damasco hanno fornito in questi anni un decisivo appoggio militare. Per Zarif, uno schiaffo inaccettabile. “Spero che le mie dimissioni permetteranno al ministero degli Esteri di ritornare al suo ruolo legale nelle relazioni internazionali”, ha detto in uno dei pochi commenti dopo la decisione.

Dall’assunzione della carica nel 2013, secondo gli analisti Zarif avrebbe minacciato le dimissioni una dozzina di volte per rafforzare l’appoggio alla sua linea, ma mai in pubblico. Uno scontro interno deflagrato dopo mesi di logoranti pressioni. Dall’abbandono dell’intesa sul nucleare di Donald Trump ai pesanti effetti economici delle sanzioni Usa, il capo della diplomazia è stato tra gli obiettivi privilegiati dei falchi. E le difficoltà europee nel mettere in atto iniziative concrete per salvare l’accordo hanno fatto il resto.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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