Pd firma il Manifesto Calenda, lite su ritorno di LeU

Carlo Calenda durante il suo discorso alla Convenzione nazionale del Pd che si è aperta all'hotel Ergife di Roma.
Carlo Calenda durante il suo discorso alla Convenzione nazionale del Pd che si è aperta all'hotel Ergife di Roma. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

ROMA. – Il Pd ha aderito al Manifesto “Siamo europei” promosso da Carlo Calenda: il presidente Matteo Orfini, a nome dei tre candidati alla segreteria ha formalizzato la sottoscrizione della proposta di una lista unitaria di tutti i progressisti alle elezioni di maggio.

Una decisione che però fa storcere il naso a qualche dirigente di punta come Antonello Giacomelli, mentre, dopo il risultato in Abruzzo del centrosinistra, Roberto Giachetti e Anna Ascani hanno detto forte e chiaro il loro “no” ad una coalizione modello Unione, e soprattutto al “ritorno a casa” dei fuoriusciti di Leu.

Nel pomeriggio Calenda va al Nazareno, dove la firma di Orfini a “Siamo europei” si è aggiunta a quelle di circa 160.000 persone. Orfini ha aderito anche a nome dei tre in corsa per le primarie, Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti. Calenda ha sottolineato che l’adesione comporta, oltre alla condivisione dei contenuti (Europa sociale che investa in formazione e in infrastrutture, che comunitarizzi le politiche migratorie ecc) anche l’impegno a fare una lista unitaria per le europee del 26 maggio.

Una prospettiva condivisa in linea di principio da tutti, ma rispetto alla quale molti avanzano dei caveat. Giacomelli, vorrebbe una lista in cui tutti i candidati eletti poi vadano a Strasburgo nel gruppo dei Progressisti, mentre Calenda si rivolge anche a +Europa, Verdi, Italia in Comune piuttosto che ai centristi di Bea Lorenzin e Pierferdinando Casini che poi andrebbero con il Ppe. Insomma ci vuole “chiarezza”.

L’altra obiezione la sollevano Giachetti ed Anna Ascani, e riguarda non solo le europee, ma il futuro del centrosinistra. Dopo il risultato confortante in Abruzzo della coalizione guidata da Giovanni Legnini dove c’era anche Leu, in molti hanno evocato un centrosinistra largo. Ma ad un “modello Unione” Giachetti-Ascani non ci stanno e in particolare ad un “ritorno a casa” di Leu.

“Per noi non esiste alcuna possibilità di rimetterci insieme a quelli che se ne sono andati martellando il partito e contribuendo al risultato del 4 marzo”, assicurano. Un parlare a suocera perché “nuora-Zingaretti” intenda. Il governatore del Lazio ha insistito sul concetto che le primarie sono, “non solo del Pd ma dell’Italia” e dovrebbero coinvolgere anche l’elettorato del più ampio centrosinistra, compresi – perché no? – gli elettori di Leu. “Abbiamo bisogno di uno spirito unitario. Altrimenti ci rassegniamo a perdere”, ha osservato.

Anche l’altro candidato, Maurizio Martina, ha respinto il modello Unione: “Io ho in testa il lavoro del PD fatto in alcune realtà come Milano, Brescia, Ancona, Brindisi dove abbiamo vinto a battuto destra e M5s e dove abbiamo promosso un PD riformista unito e aperto al centro di coalizioni civiche di centrosinistra”. Insomma, aprire più alle liste civiche, a “Italia in Comune” o alle esperienze di civismo come le “Madamine” o alle esperienze di Roma o anche a personalità come Giuliano Pisapia che evocano esperienze amministrative progressiste.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

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