Manovra: ricorso del Pd alla Consulta, scoglio ammissibilità

Il tabellone elettronico della Camera con i risultati della votazione mentre i deputati Pd mostrano cartelli di protesta.
Il tabellone elettronico della Camera con i risultati della votazione mentre i deputati Pd mostrano cartelli di protesta. ANSA/FABIO FRUSTACI

ROMA. – Il ricorso del Pd alla Consulta sull’iter di approvazione della legge di bilancio, rischia di travolgere la manovra e di farla dichiarare incostituzionale? La domanda è lecita, visto che le pronunce della Corte che coinvolgano procedure con cui una norma è stata varata, possono recidere alla radice la norma stessa e questo si è verificato più volte. Ma in questo caso la questione e gli obiettivi sono diversi.

Gli atti su cui fa perno l’azione dei Dem – le misure della manovra, appunto – non vengono impugnati direttamente. A monte c’è poi un altro interrogativo che i giudici devono sciogliere: se il ricorso sia ammissibile e se un gruppo parlamentare possa ricorrere alla Corte costituzionale. Il ricorso Pd – un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – non contiene alcuna richiesta di annullare atti. In generale, i conflitti di attribuzione non mirano a questo, ma a verificare la violazione di una funzione costituzionale; e le decisioni della Corte su questo fronte non incidono necessariamente sull’efficacia degli atti, e quindi in questo caso sull’efficacia della manovra.

L’intero procedimento, tra l’altro, potrebbe arrestarsi molto prima. Il conflitto è stato presentato dal gruppo Pd al Senato e firmato da 37 senatori del partito, a partire dal capogruppo Andrea Marcucci: cifra non casuale, di poco superiore a un decimo dei componenti di Palazzo Madama, la quota che può chiedere la mozione di sfiducia o che un provvedimento sia spostato da una commissione all’altra. Il deposito è avvenuto prima della pubblicazione in Gazzetta ufficiale della manovra, proprio a sottolineare che non è il provvedimento in sé l’oggetto del contendere, bensì i tempi strettissimi di approvazione del maxiemendamento che hanno ‘tagliato’ l’esame del Parlamento.

Una violazione dell’art. 72 della Costituzione che prevede “l’esame di una Commissione e poi della Camera stessa, e l’approvazione articolo per articolo per ogni disegno di legge”, dice il Pd, che nel conflitto di oppone al Senato e al Governo. Il ricorso, infatti, chiede alla Corte di stabilire che non spettava all’assemblea del Senato, alla presidenza del Senato e al governo autorizzare l’iter di approvazione adottato.

Ma il primo passo è un altro e si compirà il 9 gennaio, quando i giudici si riuniranno in camera di consiglio per valutare l’ammissibilità del ricorso. La Consulta dovrà decidere se chi ha proposto il conflitto si qualifichi come potere dello Stato e se si profili a suo danno la lesione di una prerogativa costituzionale: solo se ci sarà il via libera, la Corte fisserà una successiva udienza per esaminare nel merito la sostanza del ricorso.

In questo caso i giudici dovranno innanzitutto stabilire se un gruppo parlamentare sia un potere dello Stato e possa quindi sollevare un conflitto contro un altro potere dello Stato. I precedenti non sono molti: anzi, il tema è pressoché inedito. Certo, le parole di Mattarella che nel discorso di fine anno ha chiesto di “assicurare per il futuro condizioni adeguate di esame e confronto” in Parlamento sono indirettamente un segnale.

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