dell’inviato Michele Galvan/ANSA
AGORDO (BELLUNO). – Cala il buio e piove ancora a Taibon Agordino. Il torrente Cordevole, che con la piena si è mangiato pezzi di strada e ha aperto voragini vicino alle case, ruggisce senza tregua, scuro, e gli abitanti di questo pezzo sfortunato di montagna veneta si preparano a un’altra notte di paura. Non si è fatto mancare niente Taibon con le calamità: prima il gigantesco incendio della Valle San Lucano, una decina di giorni fa, quando la foresta era secca; poi la pioggia incessante, le frane e il vento potentissimo hanno fatto il resto.
“Non ne possiamo più, è una situazione che sembra non finire mai”, dice un residente, attraversando sotto l’ombrello il ponte del paese, che ha retto, nonostante la pressione dei tronchi portati a valle dall’acqua. “Un vento così forte non c’era stato nemmeno con l’alluvione del 1966” aggiunge un anziano.
Il maltempo ha agito come una titanica pialla sulla montagna belluense. Dall’Agordino, al Comelico, al Cadore, è un susseguirsi di boschi devastati, alberi (a migliaia) rasi al suolo, strade ‘mitragliate’ da frane, paesi e zone artigianali ricoperte di sassi e fango. C’è un edificio a Ponte Mas, all’inizio della statale Agordina, rimasto attaccato al terreno non si sa come; metà casa pende nel vuoto, scivolata sul Cordevole, che l’ha erosa da sotto. La stessa abitazione aveva già subito la stessa sorte con l’alluvione del 1966.
Sempre nell’Agordino, tra Voltago e Frassenè, verso Forcella Aurine, fanno impressione i piloni di ferro di una linea elettrica piegati come stuzzicadenti. Tutt’intorno una strage di alberi: pezzi di bosco ridotti a spianate, un ecatombe soprattutto di abeti rossi; hanno resistito meglio i larici, più sottili, ma flessibili, e i faggi, più robusti. I costoni delle montagne sembrano un cimitero di piante.
Nei bar dei paesi non si parla d’altro che del maltempo, e di cosa potrà succedere: “qualsiasi cosa faccia stanotte, noi abbiamo tirato su le assi di legno, e davanti i sacchi di sabbia e i teloni” dice una donna di Agordo. Ma è Rocca Pietore, 1.200 abitanti, ai piedi della Marmolada, la più colpita. II paese è ancora semi-isolato, è tornata la corrente, grazie ai generatori, ma non ancora l’acqua potabile per tutti.
“Solo nel nostro territorio ci sono danni per centinaia di milioni di euro. Non decine, centinaia” scandisce il sindaco, Andrea De Bernardin. “Non sono un tecnico – aggiunge – ma secondo una mia stima ci potremmo avvicinare al mezzo miliardo per mettere a posto tutto”. Del resto, anche i tecnici della Protezione Civile, abituati a questi scenari, hanno parlato di “apocalisse” nel bellunese. Si cambia versante, il Comelico.
Qui le conseguenze dell’uragano d’autunno sono state meno gravi. Ma salire alla diga Enel del Comelico, un imbuto sul corso del Piave, con davanti il monte Tudaio, fa restare a bocca aperta. L’acqua dell’invaso non si vede più, coperta da uno strato di alberi e detriti portati dalla piena del fiume. Materiale per centinaia di migliaia di metri cubi.
La diga non ha avuto problemi, i tronchi e le piante strappati alle sponde dalla forza dell’acqua si sono accumulati man mano sullo specchio dell’impianto idroelettrico. Per arrivare alla diga bisogna essere accompagnati dai Vigili del Fuoco, che fanno strada in un ‘budello’ nella montagna, una stretta galleria di servizio che si stacca a metà del tunnel stradale del Comelico (ora chiuso).
La vista è impressionante: un immenso cimitero galleggiante di alberi, in cui naviga un po’ di tutto: bidoni di plastica, carcasse indistinguibili, la ruota di un’auto. Quando da monte si sono accorti di cosa stava arrivando giù con il Piave hanno dato l’allarme, per la piena imminente. E hanno incrociato le dita.