Asse M5S e Lega a vertice, Tria all’angolo si arrende

Giovanni Tria
Giovanni Tria. ANSA/GIUSEPPE LAMI

ROMA. – Il vertice della verità sulla manovra è in realtà un gioco di incontri, anticamere, messaggi rassicuranti inviati all’esterno per cercare di nascondere il grande scontro in atto per tutto il pomeriggio, tra M5S-Lega e il ministro del Tesoro Giovanni Tria. E per dare il senso dell’odore di tempesta che circonda Palazzo Chigi basta il racconto della prima parte del vertice convocato dal premier Giuseppe Conte: Tria quando giunge nella sede del governo non partecipa neanche alla prima parte del vertice con i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Entra solo nella stanza di Conte, per riuscirvi dopo una manciata di minuti con le sue tabelle da aggiornare.

I numeri del Def che Tria porta alle 16 assieme alla sua squadra di tecnici non sono neanche visionati ai leader del M5S e della Lega, tornati in sintonia dopo i giorni del grande gelo del decreto su sicurezza e migranti. Sono tabelle che parlano di un deficit/Pil sotto il 2%, tabelle che sia Di Maio sia Salvini considerano superate, nell’eterna gara che i due leader imbastiscono per incassare le loro promesse elettorali.

E per onorare quelle promesse Di Maio e Salvini – il primo con maggiore durezza del secondo – sono disponibili anche a fare a meno del titolare del Mef. E’ una linea, quella del M5S e della Lega, alla quale si affianca, seppur con la consueta prudenza, anche Giuseppe Conte dopo i tentennamenti dei giorni scorsi.

Ed è lo stesso Conte a fare da raccordo tra i vicepremier e Tria nella prima parte del vertice: perché mentre Tria e Conte sono riuniti, Salvini, Di Maio e il sottosegretario Giancarlo Giorgetti si incontrano in una stanza diversa per decidere, lontano dagli annunci via web, se e come sfondare o meno la “soglia psicologica” del 2%. Fonti della maggioranza registrano un Tria messo all’angolo e costretto ad arrendersi. Una resa resa plastica quando lascia Palazzo Chigi probabilmente per aggiornare le tabelle al nuovo obiettivo del 2,4%.

Voci insistenti, in serata, raccontano che il titolare del Mef sia andato al Colle ma i rumors sono seccamente smentiti dal Quirinale. E’ un Tria che nel pomeriggio viene descritto molto preoccupato, pronto a resistere fino all’ultimo alle richieste di M5S e Lega e comunque a non abbandonare la nave del governo, come si poteva ipotizzare fino a qualche ora fa.

E nella grande opera di convincimento nei confronti del ministro del tesoro un ruolo chiave lo svolge Paolo Savona, il titolare degli Affari Ue che conosce il ministro del Tesoro da ben prima che i due entrassero nel governo giallo-verde. Savona, non a caso, è con Tria quando i due ministri abbandonano Palazzo Chigi per farvi ritorno solo poco dopo le 19, quando ha inizio il secondo round del vertice sulla manovra, alla presenza anche del sottosegretario Giancarlo Giorgetti e dei due viceministri al Mef Massimo Garavaglia e Laura Castelli.

Vertice al quale Di Maio e Salvini si presentano con un messaggio dal senso inequivocabile: il titolare del Tesoro non ha scelta, deve cedere. L’intesa, tra l’altro, arriva prima del Cdm, quando Giovanni Tria si sarebbe trovato ancor più accerchiato. Ora, toccherà al M5S e Lega dimostrare come una manovra potenzialmente rischiosissima possa trovare il placet di mercati e Ue. Fino a poche ore prima anche al Colle si considerava il 2% come la soglia massima con cui non impattare negativamente sui mercati.

Ma il dado, a sera, è tratto. E, non a caso, poco prima del vertice dall’entourage di Di Maio si sottolineava come, nonostante le aperture dei quotidiani sulla volontà di arrivare al 2,4%, lo spread non fosse schizzato. Un dato di fatto sui cui il Capo dello Stato non è intervenuto, come è sua consuetudine per quanto riguarda le scelte del governo. Ma ciò non toglie che la manovra sarà esaminata, come tutti i provvedimenti, molto dettagliatamente quando arriverà al Quirinale per avere il via libera definitivo.

(di Michele Esposito/ANSA)

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