ROMA. – Con le valigie di cartone, verso la ‘Merica’, con la speranza di trovare oltreoceano addirittura “strade pavimentate d’oro”. Sono stati quasi 30 milioni gli italiani emigrati con la speranza di un futuro migliore tra la fine dell’800 e la fine del secolo scorso. Un numero molto alto che, se ben sfruttato con il cosiddetto “turismo di ritorno” o “delle origini”, potrebbe fruttare all’Italia un vero tesoretto di turisti, interessati tra l’altro a zone in larga parte al di fuori delle mete tradizionali e in momenti non per forza di alta stagione.
Secondo un studio dell’Enit, il bacino potenziale teorico è pari a circa 80 milioni di persone. Il giro d’affari attualmente relativo a questo segmento turistico dal solo continente americano si aggira intorno ai 650 milioni di euro, per un totale di 670 mila arrivi all’anno in Italia.
I principali mercati di questa tipologia di turismo sono costituiti da Brasile, dove risiedono 25 milioni di persone di origine italiana, Argentina (20 milioni) e Usa (17 milioni), seguiti da Francia, Svizzera, Germania e Australia. Nel biennio 2007/2008, causa la crisi globale, si è assistito ad un ulteriore flusso migratorio dall’Italia verso Germania, Gran Bretagna e Belgio e nello stesso tempo diretto verso gli Stati Uniti, Canada e Australia.
In particolare, le spese a motivo di visite alla famiglia d’origine da parte dei discendenti italiani di seconda e terza generazione sono così suddivise per Paese: Usa 434 milioni (9,7% sul totale di flussi economici generati dal turismo in entrata dagli Stati Uniti), Canada 86 milioni (6,9% sul totale spesa in entrata del turismo canadese), Brasile 49 milioni (6,8% totale turismo brasiliano in ingresso), Argentina 75 milioni (16,4% totale spesa).
Non è inoltre da dimenticare che il turismo di ritorno provoca spesso investimenti nei paesi di origine e potrebbe diventare un modo per ripopolare borghi con numeri ormai residuali di abitanti.