Trapianto di faccia, per il chirurgo: “Come un concerto”

L'equipe che ha effettuato il trapianto di faccia al Sant'Andrea
L'equipe che ha effettuato il trapianto di faccia al Sant'Andrea

ROMA. – Tradisce più la stanchezza, che l’emozione per essere stato il primo in Italia a eseguire un trapianto di faccia, nella voce di Fabio Santanelli di Pompeo, che da responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Plastica dell’ospedale Sant’Andrea di Roma ha coordinato l’operazione. Le 27 ore passate in sala operatoria sono state per lui “come un concerto, dove bisogna coordinare una serie di artisti per sviluppare un’opera”, mentre al primato non dà importanza.

“Non abbiamo mai pensato al fatto di essere i primi – spiega al telefono all’ANSA, una decina di ore dopo l’operazione – ma solo alla possibilità e al piacere di aiutare un paziente. Ora abbiamo la speranza che questo intervento possa aprire la strada ad altri simili, abbiamo qualche persona già in lista d’attesa ma sono sicuro che con la diffusione della notizia più pazienti capiranno che possono fare l’intervento”.

Anche la durata dell’operazione, oltre 27 ore, non è un problema per il chirurgo. “Capita spesso di avere interventi molto lunghi in chirurgia plastica – sottolinea Santanelli -, e io stesso ne ho fatti già alcuni in passato. Ci si aiuta con la caffeina, ma comunque l’adrenalina dell’intervento è già sufficiente a non far pensare al tempo che passa, è una cosa che si guarda solo alla fine. Una volta finito arriva la stanchezza, e la soddisfazione per aver portato a termine un intervento così difficile”.

Ora, precisa, occorrerà aspettare le prossime settimane per sapere se l’intervento è andato bene. La paziente è entrata in Terapia Intensiva in buone condizioni cliniche, rileva l’ospedale in una nota, e tutti i controlli eseguiti finora sono risultati nella norma. “Dal punto di vista tecnico – spiega il chirurgo – l’intervento è andato benissimo, senza intoppi, ma bisogna aspettare per vedere se l’operazione è riuscita. L’esito finale è un volto che non assomiglia né a quello del ricevente né a quello del donatore, un’eventualità cui la donna ricevente è stata preparata e che è psicologicamente pronta ad affrontare”.

L’operazione, spiega il chirurgo, è un intervento di microchirurgia altamente sofisticata, in cui occorre ‘riannodare’ vasi sanguigni e nervi, oltre a tutti gli altri tessuti che compongono un volto. Ci sono voluti tre anni di organizzazione per arrivare all’intervento, che ha avuto bisogno anche dell’ok del Consiglio Superiore di Sanità, oltre a quello del Centro Nazionale Trapianti, ma ora l’iter dovrebbe essere più semplice per i prossimi. In totale nel mondo ne sono stati eseguiti una cinquantina.

“È difficile stimare quante persone potrebbero avere bisogno di un trapianto di faccia. Ci sono i pazienti con la neurofibromatosi di tipo 1 come la donna operata, ma anche con altre malattie che deturpano il viso. Poi ci sono persone che hanno subito traumi o ustioni. Il problema in questi casi è anche sensibilizzare i donatori potenziali, e speriamo che questo intervento possa servire. Noi siamo pronti a rifare l’intervento il prima possibile”.

(di Pier David Malloni/ANSA)

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