Pd teme il voto. Spinta per Gentiloni candidato premier

il commissario all'economia Paolo Gentiloni.
il commissario all'economia Paolo Gentiloni. Foto archivio.

ROMA. – “Il peggior scenario possibile”: tornare al voto subito, profondamente divisi e ancora tramortiti dalla sconfitta. I dirigenti Pd riuniti al Nazareno vedono materializzarsi minuto dopo minuto l’ipotesi che spaventa tutti, nessuno escluso. Ascoltano da un cellulare le parole di Di Maio, compulsano i lanci di agenzia sul vertice del centrodestra. E in serata si aggrappano all’estremo appello di Mattarella ai partiti.

Andrebbe bene anche un esecutivo con M5s, senza Di Maio premier, dice più di un dirigente renziano. Ma si fa largo la sensazione che non ci sia alternativa al voto, al più tardi in autunno. E allora già avanza il fronte di chi invoca Paolo Gentiloni segretario e candidato premier.

Il presidente del Consiglio fa smentire le ricostruzioni che lo vedono aspirare o essere destinato a correre come “frontman” (il Rosatellum non prevede formalmente un candidato premier) dei Dem: fino a che sarà a Palazzo Chigi, ormai questione di giorni se non di ore, non penserà ad altro.

Ma tra i “governisti”, che fanno trapelare l’irritazione con Renzi per aver chiuso al M5S accelerando la corsa alle urne, si ragiona apertamente di uno scenario che vedrebbe Gentiloni eletto segretario nell’assemblea Pd entro la fine del mese (il 26, è l’ipotesi dei renziani) e così, da statuto, candidato premier.

L’ex segretario – dicono – non potrebbe opporsi, visto che lo portò lui a Palazzo Chigi. Ma i rapporti tra Renzi e il suo successore sono ai minimi termini e i “pasdaran” renziani rimarcano che domenica sera in tv Gentiloni ha usato, alla sua maniera, accenti critici. E così, se l’ex premier non si sbilancia e viene descritto ‘tiepido”, i fedelissimi all’ex leader si dividono.

I “dialoganti” affermano che Gentiloni sarebbe il candidato naturale per guidare il Pd e una coalizione di centrosinistra verso un voto complicatissimo, gli “ortodossi” sostengono che il segretario eletto in assemblea (e quindi candidato premier) non sarà Martina, ma neanche Gentiloni (in alternativa circola il nome di Delrio anche se alcuni invocano ancora Renzi). L’ex segretario, intanto, fa filtrare solo uno schema di massima.

Se si vota in autunno, come si ritiene più probabile, si potrà fare il congresso a inizio luglio; se si vota a luglio, sarà l’assemblea di fine maggio a eleggere il segretario. E poiché detiene, fino a prova contraria, la maggioranza nel partito, mette così in chiaro – nota un senatore – che qualsiasi candidato dovrà passare da lui.

Al fondo, ma cruciale, c’è la partita per fare le liste Pd. I renziani ipotizzano, in caso di voto a luglio, un “armistizio” che consenta di lasciare pressoché invariate – con una quota del 20% di ‘cambi’ – quelle fatte da Renzi, ma che lacerarono il Pd. La minoranza si prepara a dare battaglia.

E se c’è chi ipotizza un “triumvirato” alla guida del partito, che includa Martina e garantisca tutte le aree, fonti orlandiane sottolineano che non risponde alle esigenze di un partito che ha bisogno di punti fermi e di un congresso rifondativo. Intanto, al termine di un “caminetto” mattutino al Nazareno, preceduto da una telefonata di Martina e Renzi (presenti Guerini e Rosato, Franceschini e Orlando, ma anche Minniti e Calenda, assente Lotti perché di ritorno da un viaggio con studenti a Mauthausen), il Pd si schiera tutto, senza condizioni, al fianco del tentativo – apprezzato anche da Renzi – di Mattarella di dare un governo al Paese.

E’ l’ultimo filo di speranza. “Il presidente dà alle forze politiche la possibilità di riaprire un dialogo vero tra di loro”, sottolinea Rosato. Se si andrà al voto, il Pd picchierà duro sull’irresponsabilità di M5s e Lega. E proverà a convogliare il voto di sinistra, così anche gli ex avversari di LeU potrebbero tornare alleati.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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