Voglia di welfare privato, boom in accordi aziendali

MILANO. – L’anno scorso in un terzo degli accordi aziendali attivi in Italia, circa 16mila, era prevista una forma di welfare ‘interno’ a integrare il pubblico. Emerge dall’osservatorio di Assolombarda con nove operatori del settore, uno studio nel quale però si evidenzia come l’Italia sia ancora indietro rispetto agli altri Paesi europei.

“Le politiche di contenimento della spesa pubblica per la riduzione del deficit hanno generato un crescente bisogno di prestazioni integrative in ambito previdenziale, sanitario e dei servizi a favore della famiglia”, spiega Assolombarda, l’associazione territoriale di Confindustria di Milano e Monza, dove l’incidenza del welfare aziendale supera il 60%.

La maggior parte delle intese (43%) prevede la possibilità di convertire parte del premio di risultato, mentre nel 31% dei casi l’accordo determina un importo fisso che varia tra i 300 e i 450 euro. La combinazione di entrambe le soluzioni copre il restante 26%. Come fonte di finanziamento, nel 51% dei casi è il datore di lavoro che finanzia le prestazioni sotto forma di welfare, in aggiunta alla retribuzione. Dalla conversione del premio di risultato proviene il 30% e il contratto nazionale provvede al 29%. Ancora di fatto nullo il contributo pubblico.

Tra le prestazioni più richieste figurano i contributi per scuola e istruzione dei figli, che assorbono quasi il 40% delle spese, seguono fringe benefit (20%), previdenza (15%), assistenza sanitaria (13%) e area culturale/ricreativa (11%).

A livello internazionale i dati più recenti dell’Ocse si fermano al 2013 e registrano dal 1990 per l’Italia un aumento complessivo del welfare aziendale del 45%, mentre la Svezia ha visto più che triplicare (+282%) questa spesa, seguita da Francia (+146%), Regno Unito (+61%) e Germania (+60%).

(di Alfonso Neri/ANSA)

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