MOSCA. – “Il caso Skripal è una messa in scena: la Russia non avrebbe avuto nessun tornaconto ad ammazzarlo, anzi. E Theresa May in tutto questo segue Trump, porta il linguaggio della strada nelle relazioni internazionali, esprimendosi come una casalinga in piazza”.
Eduard Limonov parla piano, il parchetto davanti a casa sua è coperto di neve e a 75 anni suonati, i capelli bianchi, sembra essersi dato una calmata. Limonov però è come un cobra: t’incanta e poi scatta all’improvviso. Meglio lasciarlo parlare liberamente, allora. Lo spettacolo d’altra parte sta tutto lì.
Intellettuale, poeta, scrittore, fuggitivo (prima New York e poi Parigi), attivista politico, combattente, capo popolo con il partito dei Nazional-Bolscevichi, dissidente e molto altro. Forse il primo scrittore al mondo divenuto celebre come personaggio di un romanzo altrui, quel ‘Limonov’ di Emmanuel Carrère che lo ha reso noto ovunque ma che non gli ha portato un rublo in diritti.
La notorietà non lo ha arricchito: riceve in un modesto bilocale in centro (con le infiltrazioni alle pareti), libri e quadri d’ordinanza. Ma è Limonov e la sua vita esagerata comunque affiora – “no, per carità, non si sieda lì, chi si siede su quella poltrona va in galera, è già successo due volte… la tengo solo perché costa e me l’ha regalata un oligarca”.
Il tema dell’intervista voleva essere le elezioni di domenica ma la ‘guerra gelida’ tra Londra e Mosca è impossibile da ignorare. “Guardi, io sono l’ultimo che ha voglia di difendere Putin, mi sono fatto quattro anni di galera per colpa sua. Ma se Serghei Skripal fosse stato davvero pericoloso non lo avrebbero liberato per poi tentare di ammazzarlo. E col nervino si muore in pochi minuti, mentre lui è ancora vivo!”.
Insomma, per Limonov è tutta una montatura per incastrare Mosca. Perché? La Russia era stata “depennata” nel 1991 dalla lista degli avversarsi ed è questo ostinato ‘ritorno dalla tomba’ a creare “frustrazione” in Occidente. Però l’Occidente, nel combattere la Russia, è in preda a una sorta di allucinazione. Vladimir Putin, ad esempio.
“Le decisioni non le prende lui da solo, ma in modo collettivo. Il Paese è governato da circa 30 famiglie. E Putin più che uno zar è il portavoce di questo gruppo. Il nostro sistema politico è autoritario, certo, e le elezioni sono fasulle ma il sistema non si esaurisce con Putin. Prenda Alexei Navalny. Credo che sia l’unico in 1000 anni di storia della Russia ad essere stato condannato a 5 anni e ad aver fatto una notte di galera… perché? Perché dietro di lui c’è uno di questi blocchi di potere e se vuole le faccio anche un nome: Mikhail Fridman, il fondatore di Alfa Group. La percezione della Russia in Occidente è fin troppo semplificata”.
D’altra parte non potrebbe essere altrimenti. La Russia per Limonov è un paese con una sua “propria identità” – “ma lasci stare le fiabe di Alexander Dugin e soci, non se le beve più nessuno” – che ha sempre trovato il suo baricentro nel resistere alle “pressioni culturali”. “Il liberalismo in Russia è durato poco e per la maggior parte delle persone ha significato impoverimento. Così ora guardiamo al nostro passato, soprattutto i giovani, e l’Unione Sovietica è diventata per noi una sorta di antica Roma. Il liberalismo sta morendo ovunque, ad ogni modo, e se devo essere sincero io sono più preoccupato per l’Europa che per la Russia: noi siamo un popolo selvaggio, in qualche modo ce la caveremo. Voi, non so”.
Limonov, in questo ultimo passaggio, è un Limonov al quadrato nella sua componente ‘nazional’ e sottolinea come il modello democratico ormai abbia raggiunto i limiti in virtù della sua “falsità”; la colpa è dei “tratti coloniali” e il mondo – compresa la Russia – “si è stancato” di subire la lezione e sta cercando di tornare a una “varietà di modelli”. “L’Occidente è in una fase apocalittica della sua storia: avete fatto entrare troppi migranti e ora fareste meglio a occuparvi dei vostri problemi”. Ma qui il discorso si fa complesso e sarà per un’altra volta. Limonov allora cambia pelle, da cobra a pensionato. “Torni in primavera, le offrirò il tè sul balcone: sono così belli gli alberi verdi”.
(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)