Calenda conquista gli iscritti al circolo Pd: “No scontri o fine”

Carlo Calenda in una sezione del Pd a Roma
Carlo Calenda in una sezione del Pd a Roma (foto archivio) © ANSA

ROMA. – “Lunedì ho provato cosa vuol dire solitudine politica. E da solo non si risolve niente. E’ stata una serata bellissima”. Carlo Calenda è raggiante, mentre lascia la sede del Circolo Roma Centro, a Via dei Cappellari. Dopo oltre due ore e mezza di faccia a faccia, franco, sincero, con una cinquantina di iscritti è consapevole di avere conquistato la loro fiducia.

Una serata vecchio stile, da politica della Prima Repubblica, un’esperienza totalmente nuova per questo leader politico, con un passato di manager di successo. “L’ultima volta che sono entrato in una sezione era quella storica del Pci di Viale Mazzini, andavo al quinto ginnasio”, esordisce in maglione scuro e camicia chiara. Un timido applauso al suo ingresso, un’ovazione alla sua uscita.

“Faccio un’autocritica socialista…”, ironizza. “Si vince e si perde tutti assieme. La disfatta è anche mia. Ma ora basta scontri. Se prosegue questa autoflagellazione continua – ammonisce nel silenzio della sala – le prossime elezioni rischiano di essere una scelta tra M5S e Lega. E ciò sarebbe la fine del riformismo in Italia”.

Ammette di rappresentare l’elite: “Ho avuto la fortuna di studiare, ma ora dobbiamo proteggere chi elite non è e vota chi è più simile a lui, anche se incompetente”. Il suo progetto è ridare speranza partendo dal basso, dalla base. “Dobbiamo fare come a Dunkerque: ognuno con la propria barchetta per salvare l’esercito sulla spiaggia”.

Ribadisce che non s’è iscritto per scalare il partito: “Puntare alla segreteria dopo essersi iscritto da tre giorni sarebbe da buffoni…”. Ma in tanti, nelle prime file, sospirano un esplicito: “Ma magari…”. Poi tante domande dai militanti, in larga parte over 50. Nessuno cita Renzi. Solo uno, evidentemente da fan ferito, lo fa notare.

E il segretario cittadino, Andrea Casu, commenta con parole di elogio dell’ex segretario. Dalla platea un applauso molto ma molto tiepido. Poi un altro militante: “Ciao, scusa se ti do del tu…”. E il ministro replica divertito: “Non so se vi chiamate compagni…quello che è certo è che siamo compagni di sventura”. Fabio ammette che era scettico, ma ha cambiato idea: “Appartengo all’elite operaia di Genova, ero diffidente ma lei mi ha conquistato”.

Tanti lamentano che il partito non è più nelle periferie, ma non si spiegano perchè tanto “odio contro il Pd”. Calenda segue tutti e annota i loro interventi. Una giovane, Giulia, osserva che il Pd “dovrebbe far governare il M5s, metterlo alla prova”. Un altro iscritto, con un forte accento argentino, che avrebbe fatto felice l’account fake di Calenda, Carlo Callende, è sulla stessa linea: “M5s ricorda il peronismo, più lo demonizziamo, più cresce”.

E’ il tempo della tradizionale conclusione, anche questo in pieno stile Pci, sui temi del lavoro. “Aver sostenuto che bisogna ‘salvare il lavoro, non i posti di lavoro’ – afferma – è stata una fesseria mondiale. Agli operai di Embraco non si può dire di andare in Slovacchia: lo so anch’io che c’è l’innovazione tecnologica ma bisogna difendere il lavoro”.

Infine, prima dell’applauso finale, una stilettata implicita a Renzi e Orfini: “Se di fronte alla complessità della globalizzazione, alla crisi della politica e della sinistra, ci mettiamo a giocare alla Playstation, è ovvio che abbiamo un cacchio di problema anche noi. Il messaggio non può essere quello”.

(di Marcello Campo/ANSA)

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