Servono social network più informali e separati dalle notizie

Geert Lovink (Photo courtesy by Anne Helmond)
Geert Lovink (Photo courtesy by Anne Helmond)

ROMA. – “Servono social network più informali e separati dalle notizie, smettendola finalmente di dargli un’importanza che non hanno” e, quindi, “pensare che da un post o da uno status su qualsiasi social si fa una notizia è sbagliato, dobbiamo separare i social dalle notizie, i social sono un network tra persone”.

E’ il messaggio lanciato da Geert Lovink direttore dell’Institute of network cultures (INC) di Amsterdam, tra i maggiori esperti dei nuovi media e uno degli organizzatori del convegno “Fear and loathing of the online self” (Paura e delirio del sé digitale) promosso dalla John Cabot University (JCU), dall’Università Roma Tre – Filosofia, Comunicazione e Spettacolo e dall’INC, presso l’Università americana a Roma ‘John Cabot’.

Al centro della due giorni, alla J. Cabot e presso Roma Tre, l'”ossessione di apparire sui social, condividendo ogni istante di vita, e i danni per la privacy” su cui Lovink specifica che “ci potrebbe essere un’usura per l’ individuo e per questo dobbiamo approfondire tali atteggiamenti ma senza parlare di malati”.

Per Lovink quindi la parola d’ordine è “consapevolezza” perché oggi “sappiamo che siamo spinti a cliccare, a condividere e a mettere like che poi diventano informazioni per scopi commerciali o di sicurezza, invece prima internet era visto come uno strumento di liberazione e di emancipazione per gli individui e non una macchina che ci controlla”.

Sui social “da parte degli Stati” Lovink si aspetta “più controllo anche se questi social sono troppo potenti per essere controllati”.

Per quanto riguarda la cultura dei social a base di “click e sono in scena” e sul “desiderio di continue gratificazioni con i like”, Teresa Numerico, docente di filosofia della tecnologia all’Università Roma Tre, ribadisce: “E’ necessario essere consapevoli del modo in cui questi strumenti possono essere usati e non pensare che le nostre relazioni sociali si possano misurare tramite i gradimenti online”.

Sulla dilagante “mania del selfie” la ricercatrice slovena Ana Peraica non ha dubbi: “si sono sempre fatti, come gli autoritratti del passato, ma oggi sono rappresentazioni della realtà tramite uno schermo, una realtà in cui per molti è difficile rientrare”. “I selfie – specifica – con scenari alle spalle di qualsiasi tipo anche tragici, sono una realtà mediata e infatti quello che abbiamo dietro non fa paura e non ci tocca completamente da vicino”.

Infine Peter Sarram, professore di Media Studies alla John Cabot University, ribadisce “l’importanza della conferenza, nata da un’inedita collaborazione tra queste tre istituzioni, che apre prospettive innovative per la ricerca e il lavoro culturale del futuro, per cui oggi – conclude – serve prima di tutto una grande riflessione”.

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