Dalle amministrative al Parlamento, ecco l’impatto della scissione del Pd

ROMA. – Varrebbe tra il 5 e il 7% il nuovo partito che nascerebbe dalla scissione del Pd, ma a livello di Gruppi parlamentari è presto quantificarne il peso. In parte perché non è ancora chiaro quali componenti lasceranno i Dem, visto che le trattative sono ancora in corso, e in parte perché ciascun parlamentare sta facendo valutazioni personali sull’opportunità di aderire o meno, dato che la legge elettorale attuale consiglierebbe di restare con il Pd.

Ma al di là dei numeri precisi nelle Camere i nuovi Gruppi avrebbero una incidenza rilevante su alcuni provvedimenti. La valutazione del peso elettorale, tra il 5 e il 7%, è stata fatta dal sondaggista Nicola Piepoli, secondo il quale il nuovo partito toglierebbe solo il parte al Pd, andando a pescare nel non voto e in altre formazioni di sinistra. Ma quel poco rubato ai Dem potrebbe bastare a fargli perdere le elezioni.

Se è difficile prevedere le performance elettorali, è presto anche per dare le cifre sulla consistenza dei Gruppi parlamentari. In Senato per ora sono in 12 a essere pronti a formare il nuovo Gruppo che Doris Lo Moro ha definito “inevitabile”. Alla Camera si viaggia sui 20-25 deputati.

La cautela a compiere il passo risiede nell’attuale legge elettorale, che sarà difficilmente cambiata: essa prevede 100 capilista bloccati in altrettanti collegi, e un partito del 5-7% eleggerebbe circa 40 deputati, cioè altrettanti capilista nei rispettivi collegi. Al Senato la soglia all’8% su base regionale rende ardua l’elezione, quindi i posti sicuri si restringono a questi 40. Rimanendo con il Pd, anche se con la lotteria delle preferenze, ci sono più chance. Ma i numeri sono comunque determinanti specie in Senato, sia in Aula che nelle Commissioni.

Primo banco di prova i decreti attuativi della Buona Scuola, criticata da Guglielmo Epifani in direzione e ora nelle Commissioni Cultura di Senato e Camera per i pareri. In arrivo anche il pacchetto immigrazione del Ministro Minniti, già criticato da alcuni esponenti bersaniani: il ddl dovrà passare il vaglio della Commissione e dell’Aula dei due rami del Parlamento. Analogo il discorso della manovrina 2017.

Se poi si votasse nel 2018 ci sarà in autunno la Legge di Bilancio 2018: nei due anni precedenti i bersaniani avevano già presentato delle contro-manovre con misure alternative. Si complica anche il percorso della legge elettorale: i nuovi Gruppi rappresenteranno un nuovo piccolo partito con interessi diversi dal Pd che, con M5s, è rimasto l’unico grande partito.

Altri passaggi sono i Congressi e le primarie per eleggere i segretari regionali di Sardegna, Veneto e Liguria: il 19 marzo nelle prime due, il 26 nella terza. E in Sardegna e Veneto si sono candidati due esponenti bersaniani (Yuri Marcialis e Giovanni Tonella). Manterranno la candidatura o usciranno? Entrambe ricoprono anche cariche istituzionali per conto del Pd: una loro uscita potrebbe creare ripercussioni anche per tale ruolo.

E questo ci porta ai Consigli regionali, per i quali è ancora difficile quantificare il peso di quanti potrebbero lasciare il Pd. In Toscana, dei 24 consiglieriche reggono la Giunta di Enrico Rossi, solo 4 sono a lui vicini, mentre in Puglia Michele Emiliano ha più peso, avendo ricoperto il ruolo di segretario regionale Dem.

C’è poi l’appuntamento delle Amministrative. Laddove i candidati sindaci non saranno del Pd, sarà più semplice che sia i Dem che gli “scissionisti” li appoggino insieme. Ma dove il candidato sarà un “PD”, appare complicata se non impossibile, si ragiona in ambienti parlamentari la convergenza.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

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