Bersani apre lo scenario della scissione nel Pd. Renzi, risse dannose

L'ex segretario del Pd Pierluigi Bersani arriva alla sede del Pd ANSA/ MAURIZIO BRAMBATTI
L’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani arriva alla sede del Pd ANSA/ MAURIZIO BRAMBATTI

ROMA. – Se volete cacciarmi dal Pd chiamate l’esercito, avvertiva Pier Luigi Bersani appena tre mesi fa. E invece adesso l’ex segretario apre alla scissione, mette in conto l’addio alla “Ditta”, non garantisce più di restare. E’ il terzo, dopo Massimo D’Alema e Michele Emiliano, a mettere mezzo piede fuori dal partito. Con Bersani c’è la pattuglia più numerosa della minoranza: il suo avviso di rottura è il più “pesante”.

A Matteo Renzi chiede un confronto sulla leadership e sul programma, vale a dire un congresso prima di andare al voto. Ma il leader Dem, sostenuto anche da una lettera di 19 segretari regionali del partito, avverte che così si rischia di ripetere gli errori del passato: mentre il vento populista di Donald Trump soffia sull’Europa e in Ue c’è da combattere una battaglia contro il ‘partito del rigore’, perdersi nelle “risse interne”, fa male al Pd e risulta incomprensibile agli elettori.

Tace, Renzi. Non insegue, spiegano i suoi, gli ultimatum degli avversari interni. Non si può passare il tempo a dirimere beghe mentre c’è da lanciare il messaggio in Ue che l’Italia non accetta più diktat sui conti e chiede crescita. Sul suo blog l’ex premier parla di cultura, di Pompei. “Capisco che gli addetti ai lavori si emozionino più per le leggi elettorali o le ricandidature. Ma oggi il destino dell’Italia passa soprattutto da chi in silenzio sta provando a cambiarla”, scrive.

Nelle risposte ai follower su Facebook torna sul tema delle tasse affrontato ieri: mai più aumenti. Respinge la tesi secondo cui il Jobs act crea precarietà: “Si riferisce alle riforme degli anni ’90?”. E lancia una stoccata agli avversari del No: “Ho perso e mi sono dimesso, alla domanda su chi ha vinto il referendum non so dare una risposta”.

L’obiettivo di Renzi resta il voto, ad aprile o più realisticamente a giugno. Il Pd, spiegano i parlamentari della maggioranza Dem, non può caricarsi da solo sulle spalle una manovra ‘pesante’ in autunno. Bisogna dare la parola agli elettori: il leader Dem chiederà nelle urne un mandato forte per proseguire la battaglia in Europa e puntare ad abbassare le tasse.

Ma su come andare al voto si è aperto un confronto che rischia di dilaniare il Pd. La maggioranza per ora è compatta, ma pur sostenendo la linea del voto a giugno, esponenti di peso come Andrea Orlando e Dario Franceschini sarebbero convinti che serva prima un tentativo vero di cambiare la legge elettorale.

A sinistra, intanto, lo scenario di un nuovo partito che unisca le forze di Massimo D’Alema, Michele Emiliano, Pier Luigi Bersani (ma contatti sarebbero in corso anche con Luigi De Magistris e Giuliano Pisapia) appare oggi più realistico.

D’Alema, a partire dai comitati del No, sta già mobilitando energie. Michele Emiliano, con Francesco Boccia, ha fatto partire la raccolta delle ventimila firme per un referendum per chiedere il congresso anticipato del Pd: se non si farà prima del voto, ha avvertito, sarà di Renzi la colpa della scissione. Più aperta a un confronto, ma non meno definitiva, la posizione di Bersani. “Non minaccio nulla e non garantisco nulla”, dice sulla scissione: “porrò delle questioni politiche e sentirò la risposta”.

Congresso prima del voto, è anche la sua richiesta. Ma i bersaniani non raccoglieranno le firme con Emiliano: “Va bene ogni iniziativa. Ma il problema non è raccogliere firme per chiedere il congresso – spiega Nico Stumpo – il problema è che se Renzi non fa il congresso in cui ci si confronta su temi come l’economia e la scuola, il Pd è morto”.

Il redde rationem rischia di arrivare già nella direzione del 13 febbraio. Alle elezioni a giugno si rischia di andare divisi. In queste ore con Bersani e Speranza, cui i ‘pontieri’ renziani avrebbero fatto già pervenire l’offerta di una quota di una ventina di parlamentari bloccati, un dialogo è ancora aperto. Ma una lettera di 19 segretari regionali (tutti tranne quelli di Basilicata, la Regione di Speranza, e Puglia, la Regione di Emiliano), avverte nella sostanza che è irresponsabile “minacciare le carte bollate”. Servono “unità e gioco di squadra” su temi concreti. Così si rischia di distruggere il Pd: “La nostra gente non può accettarlo”, avvertono. E’ questa la linea di Renzi.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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