Legge elettorale: la querelle giuridica implica soluzioni politiche diverse

ROMA. – Il diavolo si nasconde talvolta nei dettagli, e la “querelle” giuridica sorta sul tipo di norma attuativa per applicare le sentenze della Consulta in materia elettorale, nasconde aspetti politici: infatti la natura della norma presuppone una precisa formula di governo. E probabilmente è anche questo aspetto che può spiegare le scelte che si accinge a fare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il dibattito inizia nel 2014, con la pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Corte costituzionale che aveva bocciato il Porcellum. La Consulta aveva cassato le lunghe liste bloccate, sostituendole con la preferenza unica. Ma questa non era prevista in nessuna legge in vigore (era stata cancellata nel 1993 dal Mattarellum): dunque occorreva una norma attuativa, che indicasse concretamente come deve essere la scheda, ecc.

Ma di che “rango” deve essere questa norma? All’epoca alcuni gruppi parlamentari, timorosi del voto anticipato, dissero che doveva essere una legge. Tesi contestata dalla maggioranza dei giuristi: “è un atto dovuto – spiega il costituzionalista Stefano Ceccanti – di mera attuazione della sentenza della Consulta, quindi basta un Regolamento, o al più un decreto, anche da parte di un governo dimissionario nel disbrigo degli affari correnti. Se fosse necessaria una legge per convocare le urne, arriveremo al paradosso che il Parlamento potrebbe non vararla mai, trasformandosi in un Parlamento eterno”.

Se dunque non ci fosse un problema per una norma attuativa del Consultellum, qualora fosse scelto come sistema per il Senato, la “querelle” si potrebbe riproporre con la sentenza della Consulta del 24 giugno sull’Italicum, a seconda della decisione dei giudici costituzionali. Gli scenari infatti sono molteplici e ognuno di essi pone un problema giuridico che implica una risposta politico-istituzionale diversa.

Se come ha ipotizzato il presidente emerito Ugo De Siervo, la Corte si dichiarerà incompetente, dato che l’Italicum non è stato mai applicato, allora occorrerà per il 24 gennaio un governo nei pieni poteri per accompagnare il Parlamento nel varare una riforma che renda omogenei i sistemi di Camera e Senato, dove attualmente vale il Consultellum cioè un proporzionale puro.

Questa formula sarebbe necessaria anche nel caso di una sentenza che interviene solo su aspetti minori dell’Italicum (es. capilista bloccati) ma non toccandone l’impianto. Infatti basterebbe un Regolamento o un decreto per risolvere le questioni applicative (come deve essere la scheda con un sistema senza capilista bloccati), ma si porrebbe comunque la questione di un governo e un Parlamento nel pieno dei loro poteri per approvare una legge che renda omogenei i sistemi dei due rami del Parlamento.

Lo scenario sostenuto da alcuni, infine, è che la Corte si ponga il problema della omogeneità dei due sistemi, eliminando dunque dall’Italicum il ballottaggio, che è l’elemento più difforme rispetto al Consultellum. In tal caso la sentenza sarebbe autoapplicativa e anche qui basterebbe un Regolamento o un decreto.

La Questione di fondo è che non si conosce oggi l’orientamento della Corte, per cui il presidente Mattarella potrebbe optare per un governo nel pieno dei propri poteri, quindi investito da un voto di fiducia delle Camere, per affrontare qualsiasi evenienza il 24 gennaio.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

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