NEW YORK – Non è tutto oro quello che luccica. Dietro la facciata di benessere e di apertura che offre la società americana, si nasconde una realtà assai diversa dal “sogno americano” al quale ci hanno abituato le grandi produzioni hollywoodiane. E di questo dovrebbero essere coscienti i nostri giovani che guardano agli Stati uniti come fosse la “terra promessa”.
Quella americana è la società dei grandi contrasti, dalle profonde contraddizioni. Una società moderna, multietnica, con una grossa spinta verso il futuro e, allo stesso tempo, assai conservatrice e ancorata alle tradizioni. E’ una società che si riflette nel mondo politico, fra luci e ombre.
La notizia che il Senato abbia confermato la scelta del presidente Obama di promuovere Eric Fanning, apertamente gay, primo segretario dell’Esercito degli Stati Uniti, rappresenta una svolta storica. Fino a cinque anni fa, sarebbe stata una scelta impossibile.
Infatti, era ancora in vigore la norma “don’task, don’t tell” che proibiva ai militari gay o lesbiche di parlare apertamente del loro orientamento sessuale.
La politica, oggi, riflette le due anime più estreme del Paese: quella progressista, interpretata da Sanders, e, quella conservatrice, rappresentata da Trump. Ed anche i due aspetti fondamentali che oggi dividono l’economia americana. La ripresa, anche se lenta, e la nostalgia di un passato che Trump ha fatto suo con lo slogan: “Make American Great again”.
Le statistiche, spesso, traggono in inganno. E, in ogni caso, quasi mai dicono tutta la verità. La ripresa economica c’è. E’ indiscutibile. Lo è anche che la disoccupazione si è ridotta del 5 per cento. Ma ciò non vuol dire che la qualità di vita dell’americano medio sia migliorata. Anzi…
Il fenomeno della delocalizzazione industriale è alle origini delle odierne difficoltà delle famiglie e anche della decisione di alcune realtà locali, come quella di New York ad aprile, di aumentare il salario minimo. E’ questa una battaglia che dal 2012 combattono in particolare i dipendenti dei “fast-food”.
Il tessuto industriale americano, quindi, risente profondamente della riduzione – leggasi ricollocamento all’estero – dei complessi produttivi. Le fabbriche chiudono o sono ridimensionate. Gli ex operai, che all’epoca del boom industriale rappresentavano una specie di aristocrazia poiché ben pagati, ora si ripropongono in impieghi alternativi. Questi non mancano di certo, ma sono mal retribuiti.
Ristoranti, “fast food”, distributori di benzina, “pony-express”, grandi magazzini. Sono tutti lavori che abbondano, ma la paga non è delle migliori. E non certo equiparabile a quella che ricevevano in fabbrica.
La qualità di vita, quindi, ne soffre enormemente. E di questo dovrebbe tener conto chi pensa nell’America come fosse la Mecca. Diversa è la realtà per il professionista, che può proporsi in un ambito di lavoro diverso. Ma anche così, il suo percorso è irto di difficoltà e la concorrenza spietata.
E’ questa l’America che si presenta ai candidati repubblicani e democratici che oggi affrontano le rispettive primarie, primo passo verso la Casa Bianca.
Per Trump il cammino ormai è tutto in discesa. Senza rivali, solo dovrà attendere l’ultimo confronto con la “Grand Old Party” alla “Convention” che dovrebbe incoronarlo definitivamente candidato repubblicano.
In casa dei democratici tira aria diversa. Più complesso e difficile, infatti, è il cammino di Hillary Clinton. Sanders, pur cosciente che solo un miracolo potrà salvarlo dalla sconfitta, non demorde. E mantiene la promessa di portare avanti la sua battaglia fino a quando la matematica, e non il senso comune, indicheranno che non vi è più speranza.
Per l’ex First Lady, la presenza di Sanders rappresenta una spina al fianco, mentre Trump attacca indisturbato. Il senatore “socialista” sta mettendo in mostra tutte le debolezze di Clinton, e l’incapacità dell’ex First Lady di comunicare con alcuni settori importanti dell’elettorato, in primis quello più giovane.
La macchina elettorale, colossale e potente dell’ex Segretario di Stato, pattina, non arranca e, col passare dei giorni, rende sempre più evidente la necessità di un’alleanza futura con l’attuale avversario.
Quando si spegneranno i riflettori sulle primarie democratiche, la diplomazia entrerà in azione per costruire ponti tra coloro che oggi si affrontano senza esclusione di colpi ma anche con un elegante “fair play”, se comparato con il linguaggio che il magnate del mattone ha sempre riservato ai colleghi repubblicani.
La politica è imprevedibile ma, visto gli sviluppi degli ultimi mesi, l’incalzare del tycoon, all’inizio considerato un fenomeno da baraccone, potrebbe offrire spiacevoli sorprese a Clinton che, per sconfiggere il candidato repubblicano, avrà bisogno dell’alleato Sanders.
(Mariza Bafile/Voce)