Trump vola incontrastato. Bernie spina al fianco di Hillary

Supporters del candidato Sen. Bernie Sanders nella campagna del 2016.
Supporters del candidato Sen. Bernie Sanders nella campagna del 2016.(Danielle Peterson/Statesman-Journal via AP)
Supporters hold their signs up while Democratic presidential candidate, Sen. Bernie Sanders, I-Vt., speaks during a campaign rally on Tuesday, May 10, 2016, in Salem, Ore. (Danielle Peterson/Statesman-Journal via AP)
Supporters hold their signs up while Democratic presidential candidate, Sen. Bernie Sanders, I-Vt., speaks during a campaign rally on Tuesday, May 10, 2016, in Salem, Ore. (Danielle Peterson/Statesman-Journal via AP)

NEW YORK – Mentre il Fondo Monetario Internazionale bacchetta la Germania richiamando l’attenzione sulle mancate riforme per stimolare la crescita, facendo notare che la perdita di dinamismo della “locomotiva” tedesca rallenta la crescita dell’economia dell’Eurozona e mentre il presidente Barack Obama si appresta a realizzare un viaggio storico a Hiroshima, non per chiedere scusa ma per sottolineare i pericoli della proliferazione del nucleare, la campagna elettorale prosegue con i suoi insoliti colpi di scena.

Incontrastato e incontrastabile. Il candidato Donald Trump, ormai, ha la strada tutta in discesa. Solo. Dopo che John Kasich e Ted Cruz hanno gettato la spugna, il “Tycoon” newyorchese deve convincere la “Old Grand Party” che è il candidato “ideale” del partito. Non sarà facile. Il magnate del mattone, infatti, strada facendo perde pezzi. Ad esempio, i due ex presidenti Bush, che hanno affermato pubblicamente che non sosterranno la candidatura di “The Donald”.

La vera sfida di Trump, quindi, è quella di ottenere 1.237 delegati. E’ il numero magico, l’unico capace di assicurargli matematicamente la “nomination” e, quindi, di affrontare la “convention” di luglio senza timori di colpi di scena.

Le risorse economiche del Tycoon cominciano a scarseggiare. Almeno quelle che il magnate aveva in preventivo per questa sua corsa alla “Casa Bianca”. Ma la campagna elettorale è stata più dispendiosa di quanto pensasse. Non c’è altra ragione per l’appello al partito per aiuti finanziari. E’ questo un duro colpo alla attendibilità di Trump che, fino a ieri, si vantava di non essere legato a lobby di potere, poiché la sua era una campagna elettorale “auto-finanziata”. Insomma, che non doveva “vendere l’anima al diavolo”.

Sottovalutato all’inizio dalla “Grand Old Party”, trattato come un fenomeno da baraccone, Donald Trump, con il suo linguaggio aggressivo, arrogante e a volte anche volgare, è riuscito a smuovere l’entusiasmo dell’americano ultra-conservatore. Ma, allo stesso tempo, ad allontanare le comunità afroamericane, latinoamericane e, in generale, gli elettori appartenenti alle minoranze etniche e religiose. Senza di loro, specialmente senza il voto latinoamericano, è quasi impossibile uscire vittorioso nella corsa alla “Casa Bianca”.

E Trump lo sa. Ed è su questo che ora gli strateghi della sua campagna elettorale lavorano. Ma sarà possibile riavvicinare quegli elettori fino a ieri insultati, minacciati e umiliati?

In casa dei democratici la partita è ancora aperta e tutta da giocare. Almeno in teoria. In realtà, solo un miracolo potrebbe permettere a Bernie Sanders di superare l’ex First Lady, Hillary Clinton. Il vecchio senatore “socialista”, comunque, non demorde. E nelle primarie del West Virginia si è imposto col 51 per cento dei voti, contro il 37 per cento di Clinton.

Sanders è deciso ad andare avanti anche se, com’egli stesso ammette, “deve arrampicarsi su una ripida salita”. A differenza di Clinton, il senatore del Vermont rappresenta l’ala più progressista dell’anima democratica. Il suo messaggio affascina i giovani nordamericani non conformi con l’“establishment”. E’ un settore dell’elettorato con il quale l’ex First Lady non ha mai avuto “feeling”.

Al contrario, per esempio, con quanto accade con Wall Street e i grandi gruppi di potere, che la considerano più affidabile e capace di gestire un paese tanto complesso come gli Stati Uniti. Sanders, per conquistare la “nomination” democratica non solo dovrebbe vincere tutte le restanti primarie (Oregon, Kentucky, California e i due Dakota) ma dovrebbe convincere anche i super-delegati non ancora assegnati.
Le difficoltà che si presentano alla sua candidatura non gli sfuggono. E’ cosciente che non potrà vincere. E, allora, perché insistere? Perché erodere, indebolire la candidatura di Clinton con una campagna elettorale che strema?

I sondaggi resi noti dalla Cnn mostrano un “pareggio tecnico” tra Clinton e Trump in stati considerati decisivi nelle presidenziali; “pareggio tecnico” che si trasformerebbe in vantaggio qualora il candidato fosse Sanders. Anche se la corsa alla “Casa Bianca” non la determinano i sondaggi d’opinione, questi hanno un loro peso al momento di eventuali trattative. E, probabilmente, Sanders punta su questo.

In altre parole, forte delle simpatie mostrate da un elettorato contrario a Clinton, Sanders alla fine della campagna elettorale potrà negoziare da una posizione di forza il proprio sostegno alla candidatura dell’ex Segretario di Stato. E ottenere non solo un incarico di prestigio nella prossima amministrazione democratica, ma anche obbligare Hillary Clinton a far sue alcune promesse elettorali. Dopo le primarie, quindi, probabilmente si assisterà a una battaglia diplomatica tra i due candidati.

Clinton, che può contare sul sostegno del partito, di Wall Strett e delle lobby, non gode delle simpatie degli indipendenti. Questi diffidano del “clan Clinton”. E le presidenziali si vincono, alla fine, con il voto degli elettori. Ed è questo che potrà offrire Sanders: il voto dei giovani non conformi, degli indipendenti, delle minoranze. Insomma, di una fetta dell’elettorale indispensabile per sconfiggere il “Tycoon”.

(Flavia Romani/Voce)

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