Monti e Jalil riattivano trattato amicizia

ROMA – Italia e Libia ricominciano. La collaborazione tra Roma e Tripoli, ‘congelata’ durante la guerra, riparte dal ‘vecchio’ trattato, fiore all’occhiello di Berlusconi, ma su nuove basi: quelle di un paese libero che dopo Gheddafi sta “finalmente coronando le sue aspirazioni alla democrazia”. Il premier Mario Monti ha descritto così la Libia, annunciando – al termine di un colloquio durato oltre un’ora e mezza con il leader del Cnt Mustafa Abdel Jalil – la decisione di ‘riattivare’ l’accordo che impegna Roma per 5 miliardi di dollari in 20 anni e facendo tirare così un sospiro di sollievo alle imprese italiane, coinvolte in prima persona nelle opere da realizzare in Libia.


L’intenzione è infatti quella di ripartire concretamente con la collaborazione – e lo dimostra la decisione di Monti di andare in Libia a gennaio – in un paese nel quale l’Italia ha interessi economici fortissimi. Sbloccando anche i fondi congelati durante la guerra: 600 milioni quelli già liberati, con l’impegno del premier “ad assicurarne la massima speditezza nell’utilizzo”.


Un accordo che va, in sostanza, “nell’interesse di entrambi i paesi”, come ha confermato Jalil – che nella sua giornata romana ha incontrato anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano – smentendo nei fatti con il via libera al testo del 2008 indiscrezioni che volevano i nuovi dirigenti libici propensi a modifiche che avrebbero ridimensionato il ruolo italiano in Libia. Magari a favore dell’eterno rivale francese, che mirava a rimpiazzare l’Italia nel ruolo di primo partner commerciale.


Ma l’accordo non ha solo un valore economico. E’ anche il segnale della rinnovata fiducia dell’Italia nella nuova Libia, nel percorso in atto verso “la costituzione democratica che prevede tra pochi mesi l’elezione dell’assemblea costituente”, come ha ricordato Monti, e soprattutto nella determinazione “ad evitare qualsiasi atteggiamento vendicativo e a garantire il processo di transizione”.


Nei fatti i rapporti economici tra i due paesi sono già ripartiti: la Libia, ha detto Jalil, ha ormai raggiunto il 70% della produzione precedente di petrolio. E di questo il presidente del Cnt ha voluto ringraziare “le aziende petrolifere italiane e in particolare l’Eni, che ha deciso di tornare alle postazioni di lavoro al fianco dei libici con tutti i pericoli”. Restano ancora degli aggiustamenti, come il credito alle imprese. A Monti che si è augurato l’utilizzazione dei fondi congelati anche per coprire i crediti dovuti alle aziende italiane, Jalil ha risposto che certamente accadrà, “purché siano crediti reali e legittimi. Ci adopereremo – ha detto – per la piena trasparenza”.


E ieri il governo italiano avrebbe dato il nulla osta anche allo sblocco di fondi per consentire alla Banca Centrale libica di sottoscrivere, pro quota, l’aumento di capitale da 7,5 miliardi di Unicredit, di cui possiede il 4,99%.


L’accordo Italia-Libia significa inoltre aiuti per garantire la sicurezza e dare “la possibilità agli ex combattenti – ha detto Jalil – di potersi formare e studiare in Italia ed ai feriti di potersi curare negli ospedali italiani”.
La Nuova Libia può dunque ripartire, anche economicamente, ma senza dimenticare che l’Italia le è stata a fianco “sin dall’inizio” (e per questo Jalil ha ringraziato Berlusconi), per il “sostegno determinante” dato alla rivoluzione.


Gli investimenti libici in Italia


ROMA – Dalla moda alle telecomunicazioni, passando per l’auto e il calcio, è ampio il panorama degli investimenti libici in Italia. Ecco la lista dei principali.


— BANCHE – Fra gli azionisti di Unicredit ci sono Central Bank of Lybia (4,99%) e Libyan Investment Authority (2,594%) insieme hanno una quota totale del 7,58%. Come tutte le partecipazioni libiche detenute in tutte le società europee, le quote erano state congelate dopo le sanzioni decise dall’Onu.


— FINMECCANICA – Il fondo sovrano libico Lybian Investment Authority (Lia), braccio finanziario di Gheddafi, è salito al 2,01% nel gruppo italiano di aerospazio, difesa e sicurezza, nel luglio scorso.


— MODA – Il fondo sovrano Lafico (Libyan Arab Foreign Investment Company) è stato presente con una quota consistente, fino al 15%, anche nella holding Fin.Part (la casa di Frette, Cerruti e Moncler) poi fallita nell’ottobre del 2005. In Fin.Part era confluita anche Olcese, un’azienda attiva nel tessile in cui Lafico si sedette nel Cda per la prima volta nel 1998. Successivamente arrivò a detenere fino al 30% nell’azienda di filati.


– AUTO – Lafico entrò per la prima volta in Fiat nel 1976, ne uscì circa dieci anni dopo, per poi rientrarvi con una partecipazione più modesta, nell’ordine del 2%, nel 2002. La plusvalenza in uscita fu circa 3.000 miliardi di vecchie lire.


— TLC: Tripoli è presente dal 2008 con la Lybian Post, presieduta da Mohammad Muammar Gheddafi, all’interno di Retelit.


— SPORT – La Libyan arab foreign investment company è ancora presente nel capitale della Juventus, con una quota del 7,5%, un’alleanza che ha portato a giocare la Supercoppa italiana del 2002 proprio a Tripoli.
— ENERGIA – Eni e’ partner storico del Paese. Oggi, la quota libica in Eni è inferiore al 2% e quindi mai ufficializzata.