UE necessariamente più competitiva


BRUXELLES – La soluzione del Patto di stabilità ‘a la carte’ ha tolto dal menù del vertice di primavera dei capi di Stato e di governo la patata più bollente. La proposta formulata dalla Francia – ed accolta sia dai Paesi che chiedevano un trattato più flessibile, sia da quelli che ne difendevano la rigorosità – non dovrebbe essere messa in discussione dai leader dei 25. Perchè il compromesso si presenta quale un elastico che ciascuno ritiene evidentemente di poter tirare dalla parte che più gli interessa, e perchè è improbabile che qualcuno si prenda la responsabilità di riaprire un dossier che potrebbe mettere in discussione l’esito del summit.


Con le modifiche apportate al Patto di stabilità in linea generale, i paesi con un deficit eccessivo, avranno più tempo per rientrare sotto il tetto del 3% del rapporto deficit-pil, vi sarà maggiore flessibilità nella valutazione delle situazioni di deficit elevato, verranno considerate in maniera significativa le riforme strutturali (in particolare quella delle pensioni) e non vi sarà alcun inasprimento riguardo alle procedure di riduzione del debito pubblico. Preso atto del compromesso raggiunto sul Patto, il Consiglio europeo potrà affrontare con maggior serenità un altro tema delicato: come rendere l’Ue più competitiva rilanciando la strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione che, a metà del suo percorso, ha chiaramente fallito l’obbiettivo di incamminare l’Ue sulla strada per diventare, entro il 2010, la piu’ forte economia del pianeta. La presidenza lussemburghese dell’Unione europea e la Commissione hanno avanzato le loro proposte. Quelle dell’ eurogoverno hanno suscitato reazioni contrastanti nel Parlamento europeo, dove il presidente Josè Manuel Barroso è stato accusato di aver presentato un programma tathcheriano che – per favorire la crescita economica – sacrifica gli aspetti sociali. Sull’aggiornamento dell’agenda di Lisbona al Consiglio viene innanzi tutto chiesto di evitare di mettere insieme il solito elenco di buone intenzioni. Le statistiche dimostrano che l’Europa è in ritardo sui suoi stessi programmi – oltre che rispetto alle altre aree del mondo dove la ripresa è più sostenuta – e non può permettersi di perdere altri colpi. Strettamente legata all’agenda di Lisbona c’è la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi per la quale nelle ultime settimane è esplosa una forte polemica che coinvolge istituzioni europee, partiti e sindacati. In Francia è diventata il tema rovente della campagna per il referendum sulla Costituzione europea che ora rischia di essere respinta. La direttiva – che porta il nome del commissario uscente al mercato interno, l’olandese Frits Bolkestein – con una serie di importanti eccezioni, prevede l’abbattimento di barriere nell’ offerta dei servizi per la quale varranno le regole del Paese d’origine. La polemica è divampata dopo che alcuni Stati, in particolare Francia, Germania, Svezia e Belgio, oltre ai sindacati europei, ne hanno chiesto il ritiro. Il presidente della Commissione Josè Manuel Barroso e il successore di Bolkestein – l’irlandese Charlie McCreevy – si sono detti disponibili a fare alcune modifiche. Il ritiro è considerato improponibile, dato che la liberalizzazione dei servizi è ritenuta essenziale per rafforzare la competitività e generare la crescita di impiego. L’andamento e l’esito del summit a questo punto dipenderanno soprattutto dalla posizione che assumerà il presidente francese Jacques Chirac – molto duro nelle ultime settimane sulla direttiva Bolkestein – il quale certamente porterà ai colleghi i dati sugli ultimi sondaggi nel suo Paese e li avvertirà sui rischi che avrebbe, per l’Ue, una bocciatura della Costituzione da parte dell’elettorato francese. ‘’Noi siamo pronti a modificare la direttiva. Ora spetta agli uomini politici francesi spiegare ai loro elettori che il 29 maggio non votano sui servizi, ma sulla Costituzione’’, ha commentato Barroso, preoccupato ed indispettito dalla piega che ha preso la polemica.