Intervista sull’America latina

CARACAS- Marcello Carmagnani è uno dei massimi esperti italiani di storia latinoamericana, il suo libro,“L’altro Occidente” è utilizzato nelle principali università italiane. Il pregio? Riuscire ad analizzare l’America Latina con un filtro particolare, dando risalto alle relazioni con il resto del mondo, che per il sud del continente ha significato quasi sempre Europa . Ordinario di storia dell’America Latina presso l’università di Torino, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi, è stato visiting professor in numerose univerità americane, europee e latinoamericane, compresa la Ucv di Caracas. Molti dei suoi studi vengono pubblicati in spagnolo.


Lo abbiamo intervistato nel tentativo di analizzare la storia dell’America Latina.


Iniziamo dall’ immagine con cui lei introduce il suo libro, l’allegoria delle quattro parti del mondo sul soffitto del salone da ballo di Ca’Rezzonico a Venezia. I quattro continenti allora conosciuti avevano dimensioni identiche, “suggerendo così un forte contenuto paritetico”.


E’ oramai troppo tardi? Cosa è andato storto?


L’allegoria delle parti del mondo,  presente  nell’introduzione del mio libro, ci ricorda  che già nell’età moderna si riteneva che il mondo non era comprensibile  senza tener presente i collegamenti, i rapporti, che esistono tra i diversi continenti. I rapporti economici, sociali, politici e culturali spiegano l’ascesa e il declino dei continenti e dei paesi nella storia mondiale. Ancora nel XVIII secolo Cina e India sono considerati da numerosi autori più sviluppate di molti paesi europei.


 Sembrerà un argomento sorpassato, ma è ancora utile interrogarsi sul perché gli Stati Uniti, colonia, siano riusciti a diventare quel che sono, mentre l’America Latina è con una gamba in Occidente e con l’altra fuori, lei cosa suggerisce?


Ancora nel primo terzo dell’Ottocento il prodotto interno lordo degli Stati Uniti è  quasi identico a quello messicano e quindi assai inferiore a quello di tutti i paesi latino-americani.


Il sorpasso degli Stati Uniti avviene con la seconda rivoluzione industriale che incomincia sul finire dell’Ottocento e finisce negli anni 1930,  e che interessa gran parte dei paesi atlantici e, in minor misura,  quelli del Mediterraneo europeo.


In questo periodo, la società e il governo americano danno vita ad una nuova forma di sviluppo economico i cui fattori dinamici sono la trasformazione dell’agricoltura, lo sviluppo dell’industria chimica, elettrica, delle comunicazioni e delle finanze (banche, assicurazioni e borse). Queste trasformazioni sono potenziate dal rinnovamento delle istituzioni politiche e amministrative che favorì la nascita dello scambio impersonale, il perfezionamento dei diritti di proprietà e la concorrenza internazionale. L’insieme dei cambiamenti economici, politici, istituzionali  e sociali  danno vita ad una società aperta negli Stati Uniti, mentre nei paesi latino-americani, nessuno escluso, si continua con le politiche di sostegno ai privilegi economici, sociali e politici delle élite e  non si riesce quindi a rispondere alle sfide poste dalla seconda rivoluzione industriale e dalla crescente internazionalizzazione. Quando scoppia la seconda guerra mondiale,  gli Stati Uniti sono diventati una potenza mondiale mentre i paesi latino-americani imboccano la strada del nazionalismo, del populismo e del protezionismo, compresa l’Argentina che sino alla fine del primo conflitto bellico mondiale era, come si direbbe oggi, un’economia emergente.


– Se il progetto di Gran Colombia di Bolivar avesse resistito, forse almeno una parte del continente avrebbe avuto le dimensioni adatte per quelle economie di scala necessarie per rimanere attaccati al treno dell’occidente tecnologico? Oppure neanche questo sarebbe bastato, vedi Brasile e Argentina?


La dimensione geografica e la forma politica degli stati sono importanti a condizione che si compagini  con istituzioni che favoriscono il passaggio dall’ordine gerarchico coloniale  all’ordine repubblicano.


 La Gran Colombia di Bolivar aveva senso, ma forse quell’idea del potere centralizzato era in conflitto con la realtà coloniale del tempo,  se la Gran Colombia avesse avuto una struttura confederata, tipo Usa,  sarebbe stata più solida?


Se le elezioni non sono competitive e la rappresentanza non è estesa a  tutti i gruppi sociali e d’interesse, l’organizzazione statale di tipo confederale, federale o unitaria non è  di  per se sufficiente  per contribuire al cambiamento di una nazione. La  Gran Colombia e l’Impero del Brasile non  riuscirono a  trasformare i sudditi coloniali in cittadini.


Leggendo la sua opera si intuisce come  il ruolo della chiesa sia da riconsiderare, non solo crimini, ma anche protezione degli indios contro gli spagnoli che, almeno in un primo momento, volevano trarre dalla loro schiavizzazione il massimo profitto?


  La nostra immagine del periodo coloniale è succube della pubblicistica terzomondista che vede nella chiesa e nell’amministrazione coloniale gli elementi chiave dello sfruttamento degli indios e delle classi popolari. Le nuove acquisizioni storiche pongono l’accento su un altro aspetto. Sin dal Cinquecento si crearono una serie di istituzioni per offrire protezione agli indios ed accogliere le loro rimostranze contrarie agl’interessi dei commercianti, degli hacendados e dei funzionari.


Si può parlare di una unica America Latina dal Messico all’Argentina, oppure lei suggerisce delle differenze? 


L’identità latino-americana si è potenziata nell’attuale fase storica della globalizzazione. La tendenza transnazionale  preesistente si rafforza con i nuovi network della comunicazione (internet), i rapporti tra le società civili latino-americane e le internazionali (Ong), la crescente collaborazione internazionale nel campo degli studi e degli scambi degli studenti. Sin dagli anni 1980 la globalizzazione  potenzia le interazioni tra le aree latino-americane e tra queste e le altre parti del mondo. Il risultato è che l’identità latino-americana si è rafforzata tanto che oggi è assai meglio capita e accettata dalla società europea e nord-americana.


– La caratteristica dell’America Latina sembra essere il debito estero, soldi presi in prestito per entrare nella modernità (fatta di intescambi internazionali di prodotti finiti con elevato contenuto tecnologico), la sfida però è stata persa! La stessa sfida alcune regioni asiatiche l’hanno vinta, è possibile fare un paragone, capire i perché?


Perché le tigri asiatiche si rafforzano mentre le aree latino-americane ristagnano nella concorrenza internazionale? Perché i paesi asiatici conoscono una significativa crescita economica mentre i paesi latino-americani crescono poco e sono prigionieri del debito estero? Sinora nessuno ha dato  la dovuta importanza alla scarsa volontà dimostrata dai paesi latino-americani per riformare il sistema fiscale in modo da garantire ai governi le risorse finanziarie necessarie per rispondere alle sfide internazionali e superare l’arretratezza. Nessun governo latino-americano è sinora riuscito a far pagare veramente le tasse agli industriali, ai banchieri, ai grandi commercianti e ai politici, né  a riformare le imposte indirette sui consumi che colpiscono soprattutto i ceti popolari e medi. Il risultato è che il protezionismo perdura e la concorrenza è ostacolata, per non dire impedita, e l’assenza di una riforma fiscale obbliga i governi ad indebitarsi  con banche e istituzioni internazionali senza creare ancora un credito pubblico moderno né dare vita ad una  previdenza sociale per tutti i ceti sociali. Ne consegue che l’inequità finisce col potenziare il debito estero ed impedire l’ammodernamento dello stato.