Il G20 cresce e diventa l’agorà del nostro tempo

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, partecipa alla prima sessione di lavoro plenaria del Vertice G20
Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, partecipa alla prima sessione di lavoro plenaria del Vertice G20. (Ufficio stampa Presidenza del Consiglio)

BALI. – Mai sprecare una buona crisi. Un vecchio adagio valido per l’Europa, che si unisce di più sempre e solo quando la realtà mostra la debolezza delle singole nazioni davanti alle sfide contemporanee, ed è ormai valido per il resto della comunità internazionale. Il G20 nacque così, 14 anni fa, sotto i colpi della grande crisi finanziaria – causata da “gente con gli occhi azzurri in abito”, disse il presidente del Brasile allora in carica, Lula.

Le istanze ‘terzomondiste’ (termine ormai vintage) fecero capolino per la prima volta, dopo oltre un decennio di unipolarità liberale. Ecco, a Bali si è visto che l’ancien régime (G7) non è morto, anzi, ma che un nuovo ordine sta nascendo, grazie al peso degli emergenti.

L’identikit del format parla da solo: il 60% della popolazione globale, l’80% del Pil e il 75% dei traffici commerciali. Una specie di ‘direttorio’ delle Nazioni Unite senza diritto di veto. Il che obbliga a trattare. Che è esattamente quanto accaduto a Bali per arrivare al comunicato finale, un successo diplomatico straordinario. Certo, un bel pezzo di quel peso economico-politico del blocco emergente lo si deve all’avvento cinese.

La stretta di mano tra Joe Biden e Xi Jinping nel pre-vertice è l’immagine della nuova superpotenza che va ad insidiare l’antica. La simbologia è un gioco, le coincidenze scherzi del destino. Ma a voler vederci un disegno, un tempo i signori del pianeta (Usa e Urss) si vedevano in olimpica solitudine sulle coste atlantiche (a Reykjavík ci fu Gorbaciov-Reagan del 1986, l’apogeo dei due imperi), oggi i leader appianano le loro divergenze nella cornice del più ampio summit multilaterale della nostra epoca (nel cuore dell’indopacifico).

Bali, peraltro, non è campo neutro. L’Indonesia è parte del G20 e ha mostrato una leadership straordinaria (riconosciuta da tutti) tenendo testa a Pechino nelle ore più concitate dei negoziati. Se nel comunicato finale si usa il termine “guerra” per descrivere il conflitto in Ucraina, contro i voleri di Russia e Cina, molto lo si deve al presidente Joko Widodo.

“Questo G20 ha creato ponti fra il mondo sviluppato e quello emergente”, spiega una fonte diplomatica europea. Cina e Russia sono arretrate grazie alla pressione dell’India (avversaria storica di Pechino in Asia) ma anche di Paesi come il Brasile – che siede nel Brics, il club alternativo al G7 – e il Messico. “Quando la Cina ha visto che la prospettiva era di finire nelle note a piè di pagina, insieme alla Russia, come Paese contrario al comunicato finale ha ceduto”, racconta una fonte parte dei negoziati.

Questo è stato il G20 di Bali: l’agorà dei nostri giorni. E la parola che più saltava di bocca in bocca, nei crocicchi, era ‘swing states’. Come nelle elezioni americane. Solo riferita ai Paesi membri ‘non allineati’ – altro termine desueto – e dunque da convincere. Questa è la grande novità. Nemmeno gli Usa governano senza chiedere il permesso a nessuno: cercano consenso. E insieme ai partner del G7 plus (ovvero Sud Corea e Australia) hanno tessuto la tela.

“Il G20 sarà per noi sempre più determinante per essere competitivi e rilevanti e dovremo lavorare sodo per far capire la nostra posizione agli altri”, spiega un diplomatico del G7. Il percorso sarà lungo e irto di ostacoli. Xi non ha stravolto la sua posizione, ha criticato la Nato per la sua espansione “troppo rapida” e resta da vedere se davvero spingerà la Russia alla pace (o darà seguito alle aperture mostrate a Biden).

E qui si arriva al grande assente, Vladimir Putin. Quando il luogotenente Serghei Lavrov gli fa capire che è finita, che la Russia è in minoranza e dovrà firmare un comunicato in cui di fatto si autocondanna, lancia una salva di missili sull’Ucraina (chiudendo peraltro lo spazio all’ultimo blitz cinese).

Bali consegnerà Putin alla storia come una figura tragica: per anni cantore della multipolarità, strenuo oppositore del predominio americano, al summit che finalmente la impetra, la multipolarità, lui non c’è e ne resta stritolato.

(dell’inviato Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)

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