Addio Bollesan, il rugby azzurro prima del 6 Nazioni

Marco Bollesan in un'immagine d'archivio.
Marco Bollesan in un'immagine d'archivio. (ANSA)

ROMA. – C’era un tempo in cui il rugby italiano era meno glamour e piú fangoso. Colossi di una palla ovale povera economicamente e forse più appassionata, protagonisti poi di quella crescita continua che portò l’Azzurro ad affacciarsi e poi a entrare nel ristretto club dei grandi d’Europa, Marco Bollesan e Massimo Cuttitta vengono pianti insieme dai tanti che li hanno avuti come guide e maestri, non solo in Italia.

Dopo lo choc della morte per Covid, ieri a soli 54 anni, del pilone laziale oggi la notizia del decesso di un altro storico capitano azzurro, Bollesan, un gigante nato 79 anni fa a Chioggia ma cresciuto, e scomparso, a Genova, tradito invece da un male che lo ha colto dopo aver sconfitto il coronavirus lo scorso anno. Nell’anno dell’ennesimo cucchiaio di legno per la Nazionale nel Sei Nazioni, la doppia perdita fa ancora più male.

“La famiglia del rugby piange due grandi campioni”, ha detto il presidente del Coni, Giovanni Malagò, e proprio il Comitato olimpico aveva scelto Bollesan come al momento único rappresentante del rugby nella   Walk of Fame al Foro Italico.

Settanta presenze in azzurro per Cuttitta, 29 volte da capitano, solo 47 ma delle quali 34 con la fascia al braccia, per Bollesan, in tempi però nei quali erano molto più rare le occasioni per l’Italia di riunire la propria nazionale. Bollesan divenne poi commissario tecnico alla prima coppa del mondo, nel 1987, e fu team manager nelle rassegne iridate del 2003 e del 2007.

Dal suo debutto come flanker con l’Italia, nemmeno ventiduenne il 14 aprile 1963 a Grenoble contro la Francia, Bollesan è stato una istituzione del rugby azzurro, una bandiera, un simbolo in anni in cui la palla ovale era lontanissima dai riflettori odierni e il Sei Nazioni, più un sogno che un’ambizione.

Il suo primo club fu il CUS Genova, poi passò alla Partenope conquistando il titolo italiano del 1966 prima di rientrare al suo club d’origine, sfiorando per tre anni il titolo tricolore con i genovesi per poi conquistarlo nel 1975 con la maglia del Brescia.

“Per i rugbisti della mia generazione, per chiunque abbia praticato lo sport tra gli Anni ’60 e gli Anni ’80, ma anche per chi è venuto dopo, Marco Bollesan è stato un esempio – le parole del presidente della Fir, Marzio Innocenti -, l’epitome del rugbista coraggioso, il simbolo di un gioco dove fango, sudore e sangue rappresentavano i migliori titoli onorifici. Gli saremo eternamente grati per il suo straordinario contributo. Siamo vicini alle figlie Miride e Marella ed a tutta la sua famiglia. Il rugby italiano ha perso uno dei suoi figli prediletti”.

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